LUCA 10, 13-16
Buongiorno a tutti,
i passi del nostro cammino oggi seguono le tracce fornite dai seguenti versi del Vangelo di Luca:
“13Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. 14Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. 15E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
16Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».”
Quando tutto nella nostra vita sembra andare bene e rispondere alle nostre aspettative, quando le nostre preghiere incontrano il favore divino e trovano accoglienza, quando le nostre forze sono sufficienti per affrontare le questioni che interessano le nostra vita personale, quando nel mondo dei nostri interessi e dei nostri affetti tutto ci compiace, quando la gioia del nostro cuore è appagata dalla vita che conduciamo, che interesse abbiamo a intraprendere un lungo e difficile cammino di conversione? Se la sorte sembra dare ragione alle nostre convinzioni e la nostra presunzione è tale da farci pensare di essere nel giusto, di essere santi, di essere salvi, di non avere bisogno di apportare modifiche al nostro comportamento, perché convertirsi, perché cambiare vita e mettere in discussione tutto, perché rimuovere l’indifferenza all’amore, a Dio e alla sua Parola? Succede, dunque, che nel benessere in cui apparentemente la vita è soddisfatta dai nostri successi personali e dalla soddisfazione delle nostre esigenze e delle nostre aspirazioni, restiamo indifferenti alle parole del Vangelo e priviamo l’anima dell’indispensabile nutrimento dell’amore. L’anima senza amore si inaridisce e diventa incapace di produrre frutti e di sentire il bisogno della comunione con Dio e con i fratelli. L’aridità consiste proprio nell’abbassamento di tale desiderio o addirittura nella sua scomparsa. Si diventa indifferenti a tutto e a tutti, si ascolta solo ed esclusivamente il proprio io, ci si isola in un regno lontano dal resto del mondo e dal Signore. Questo isolamento è molto grave in quanto rende l’anima refrattaria al fuoco della Parola di Dio, al fuoco dello Spirito Santo, al fuoco dell’amore di Cristo Crocifisso e al fuoco di ogni manifestazione divina. Il Signore è l’Emmanuele, in Dio con noi. Egli non è un Dio lontano, ma un Dio che si è fatto uomo per stare in mezzo a noi e per aprirci le porte del Regno di Dio. Noi siamo continuamente sollecitati dal Signore ad abbandonare i nostri tabernacoli personali e a diventare cittadini del nuovo Regno, dove l’unica legge che vige è la legge dell’amore e della Comunione piena con Dio e i fratelli. Dopo la morte in Croce di Cristo, la sua risurrezione, la sua ascensione al Cielo, la discesa dello Spirito Santo, la nascita e la diffusione della Chiesa, le parole rivolte da Gesù a Corazin, a Betsaida e a Cafarnao, se applicate alla nostra condotta diventano un avvertimento importantissimo di fronte al quale la nostra indifferenza non ha più giustificazioni. Le parole del Signore nel Vangelo suonano come minaccia e lo sono davvero, ma non nel senso umano, esse non esprimono risentimento e vendetta, tutt’altro. Il tono di minaccia in esse contenuto esprime solo ed esclusivamente la pressante preoccupazione di Dio per la nostra salvezza, preoccupazione che nasce dall’incontenibile desiderio di amore e di bene che il Signore sente e manifesta per noi. Ora che tutto è compiuto e ogni “Mezzo” è stato messo a nostra disposizione per introdurci senza ulteriori perdite di tempo nella meravigliosa realtà dell’amore ogni nostro ritardo è un danno per noi stessi, una nostra sconfitta personale, il nostro fallimento di uomini amati, cercati, salvati, difesi e custoditi da Dio. Di fronte alle meravigliose realtà del Regno dei Cieli nulla giustifica ogni nostro ritardo, tramutandosi questo per ognuno di noi in una grave perdita. Si tratta di aprire il nostro cuore e il nostro cervello all’amore, di comprendere che questa preziosa realtà trova il suo unico e pieno compimento solo in Cristo e che la nostra realizzazione di uomini dipende dall’adesione della nostra vita all’invito di conversione formulatoci continuamente e con insistenza dalla presenza viva e operante di Dio in mezzo a noi. L’invito a temere il giudizio finale è un invito a rivedere le nostre convinzioni, a spostare i nostri interessi, a illuminare la nostra vita, a rispondere all’amore vero, a uscire dalle tenebre che ora, in questo momento avvolgono la nostra anima, e ad entrare nel Regno della Luce vera. Se pensiamo che essere precipitati negli inferi significa perdere per sempre la visione di Dio e la partecipazione alla gioia del Paradiso, la nostra attuale condizione è già sull’orlo del precipizio, è già all’interno dello stesso, ma finché ci è concesso il tempo della vita terrena abbiamo la possibilità per grazia di Dio di emergere da questo baratro e di tornare alla Luce Divina. L’idea del giudizio come punizione non è sicuramente un’idea del nostro Salvatore, tale idea è infatti in netto contrasto con la sua missione, ma un’idea che appartiene alla nostra logica umana. Dio in questo brano del Vangelo ci esorta ad ascoltarlo per impedirci di scivolare le baratro profondo e buio del giudizio negativo con cui noi uomini abbiamo condannato Dio a stare lontano da noi e ad uscire dalla nostra vita.
Capo d’Orlando, 04/10/2013
Dario Sirna.