GALATI MAMERTINO – LE CASCATE DEL TORRENTE FERRARO

IL TORRENTE FERRARO E  LE SUE CASCATE

L’escursione di oggi si svolge nel torrente Ferraro, Comune di Galati Mamertino.  Precisiamo subito che si tratta di un’escursione molto difficile e pericolosa, per cui sconsigliamo vivamente chiunque di avventurarsi in tale impresa. Le difficoltà di cammino sono dovute alla notevole quantità di acqua in gioco, alla elevata corrente e vorticosità del fiume, all’assenza di un sentiero da percorrere per visitare il posto, alla vegetazione intricatissima che infesta tutto l’ambiente circostante e alla eccessiva impraticabilità del territorio locale.

L’uso degli stivali alti è obbligatorio, ma non è sufficiente a risolvere le problematiche di percorso. Il Torrente Ferraro è un grosso affluente della Fiumara Galati. Esso a sua volta racchiude in sé le acque del torrente San Pietro, che scende dal versante di ponente della Serra Corona. I volumi di acqua trasportati sono considerevoli e concorrono  almeno per un terzo ad ingrossare la portata delle acque che scorrono nella Stretta di Longi o del Paratore. La zona da noi esplorata è quella direttamente a monte dell’innesto sulla Fiumara Galati. Per accedere al fiume bisogna perciò raggiungere la località Milè e lasciare la macchina proprio in prossimità del ponte sulla Fiumara Galati, ossia nei paraggi del bivio che sale a San Basilio. La strada in questione è la provinciale che collega Longi con Galati Mamertino. L’escursione completa si compone di due diversi percorsi, con il primo si può accedere alla parte più bassa del fiume Ferraro, con secondo invece si può accedere alla parte alta dello stesso. In ogni caso, d’inverno a causa della portata del fiume, non è possibile raggiungere la parte intermedia che collega le due zone. Le difficoltà di accesso al tratto intermedio sono insuperabili e rischiosissime. Tutta la zona esaminata è affascinante grazie a una una lunga sequenza di salti e cascate che trasformano il fiume in un vero gioiello della natura. Purtroppo le difficoltà di accesso alla zona si ripercuotono negativamente anche sulla disponibilità delle immagini, per cui le foto scattate non riescono a documentare con precisione e fedeltà la bellezza del posto, occorre proprio assistere di presenza allo spettacolo per apprezzarlo in tutta la sua grandezza. Per l’accesso alle cascate della zona bassa occorre risalire la sponda sinistra del fiume. Il torrente è prossimo alla strada, ma in corrispondenza di essa è imbrigliato e perciò inaccessibile a causa della rilevante altezza delle briglie e della portata di acqua che scorre uniformemente nel letto dell’alveo. Occorre dunque superare la zona imbrigliata inoltrandosi sulla sponda sinistra del fiume. Raggiunta l’ultima briglia il fiume riprende a scorrere nel suo ambiente naturale costituito esclusivamente da rocce e massi di grandi dimensioni, accavallati l’uno sull’altro. Da questa postazione è possibile intravedere in mezzo alla fittissima vegetazione le prime cascate. Per andare oltre bisogna risalire il bosco e sfruttare i limitati, scoscesi e difficili passaggi che consentono di ritornare sulla sponda sinistra del fiume. In tal modo è possibile godere dal basso e da lontano la vista delle cascate intermedie, ma non è possibile andare oltre e risalire il fiume a causa dell’inaccessibilità dello stesso. Per proseguire l’escursione bisogna tornare indietro, attraversare il fiume nei pressi della briglia, portarsi sull’altra sponda e da qui risalire tutto il torrente fino a giungere  ad una zona caratterizzata dalla presenza di grandi macigni rocciosi. In alternativa, la stessa zona la si può raggiungere dalla strada che collega la provinciale con la frazione Pado, percorrendo la stessa solo per pochissime centinaia di metri. Il lato destro del Fiume dà la possibilità di esplorare la parte alta delle cascate. Precisiamo che il fiume a monte di queste ultime è nuovamente imbrigliato con salti che superano i tre metri di altezza e che richiedono l’uso di scale. Anche per questa zona non esiste un vero e proprio percorso da seguire, ma bisogna necessariamente cercare varchi e passaggi a tentoni, in mezzo ad una vegetazione fitta e intricata, costituita da rovi, canne, erbe,  macchie e arbusti vari. Tale vegetazione se da un lato ostruisce l’accesso al fiume  dall’altro fornisce quegli appigli che sono necessari per tenersi e arrampicarsi durante l’attraversamento dei tratti più impervi. Anche in questo caso non è sufficiente un solo passaggio per esplorare il fiume, occorre necessariamente sfruttare due diversi accessi per raggiungere le sponde dello stesso, due accessi non connessi tra di loro e che pertanto richiedono due differenti passaggi. Tali passaggi sono estremamente pericolosi e difficili ma consentono di ammirare l’andamento del fiume nella sua parte alta. La zona intermedia continua a restare interdetta sebbene ammirabile dall’alto. La bellezza del fiume è dovuta proprio al notevole dinamismo delle acque e alla presenza di un ambiente naturale  che definire selvaggio ci sembra riduttivo. Purtroppo però queste stesse caratteristiche sono di impedimento alle escursioni e al reperimento della documentazione, cosicché il fiume rimane sconosciuto a tutti, chiuso in uno scrigno naturale che non è possibile forzare. Il reportage di oggi in parte svela i segreti di questo prezioso elemento dei Nebrodi, dandoci un’idea della bellezza di questo angolo ignoto del nostro territorio.  La valutazione delle pendenze e delle briglie poste a monte e a valle di queste cascate ci fa comprendere anche che l’assetto originario del Fiume doveva essere estremamente interessante e che averlo imbrigliato e rivestito di cemento è stata una scelta sbagliata e inutile. Il danno fatto è stato grave  e ha  irrimediabilmente compromesso la bellezza di questo gioiello naturale senza apportare nessun vantaggio al territorio e ai suoi abitanti. Il fiume, infatti, avendo una sua sede naturale ben delimitata e naturalmente arginata non costituiva alcun pericolo per nessuno. Le cascate naturali rimaste escluse dalla cementificazione del fiume sono in realtà salti di circa tre metri ciascuno (in media) che si ripetono in una sequenza senza pause per coprire  un dislivello complessivo di circa 50 metri. Si tratta dunque non di un insieme armonioso e compatto di piccole cascate che nel complesso forma un effetto suggestivo e pregevole seppur non eccezionale. La natura selvaggia del posto stride fortemente con gli interventi fatti sulla stessa dall’uomo e ci spinge a riflettere sulla inadeguatezza delle scelte fatte contro il creato. Ciò che apparentemente sembra progresso è in realtà il frutto di un’antica illusione, quella di volere gareggiare con Dio e volersi sostituire a Lui. Una pretesa impossibile che può essere superata solo con un controllo del territorio che sia esclusivamente custodia dello stesso e strumento per conoscere e vivere il rapporto con il Creatore.

Capo d’Orlando 08/04/2013

Dario Sirna

 

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