SALMO 38
Buongiorno a tutti,
inizieremo il cammino di oggi ascoltando le parole del Salmo 38, di seguito riportato:
Ho detto: «Veglierò sulla mia condotta *
per non peccare con la mia lingua;
porrò un freno alla mia bocca *
mentre l’empio mi sta dinanzi».
Sono rimasto quieto in silenzio: tacevo privo di bene, *
la sua fortuna ha esasperato il mio dolore.
Ardeva il cuore nel mio petto, *
al ripensarci è divampato il fuoco;
allora ho parlato: *
«Rivelami, Signore, la mia fine;
quale sia la misura dei miei giorni *
e saprò quanto è breve la mia vita».
Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni*
e la mia esistenza davanti a te è un nulla.
Solo un soffio è ogni uomo che vive, *
come ombra è l’uomo che passa;
solo un soffio che si agita, *
accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.
Ora, che attendo, Signore? *
In te la mia speranza.
Liberami da tutte le mie colpe, *
non rendermi scherno dello stolto.
Sto in silenzio, non apro bocca, *
perché sei tu che agisci.
Allontana da me i tuoi colpi: *
sono distrutto sotto il peso della tua mano.
Castigando il suo peccato tu correggi l’uomo, †
corrodi come tarlo i suoi tesori. *
Ogni uomo non è che un soffio.
Ascolta la mia preghiera, Signore, *
porgi l’orecchio al mio grido,
non essere sordo alle mie lacrime, †
poiché io sono un forestiero, *
uno straniero come tutti i miei padri.
Distogli il tuo sguardo, che io respiri, *
prima che me ne vada e più non sia.
Questo Salmo, in cui vengono riportate tutte le lamentazioni e i dolori della vita, apparentemente potrebbe sembrare poco adatto ad introdurci nel cammino di questo nuovo giorno. Anche la sua conclusione potrebbe sembrare piuttosto povera di speranza. In realtà esso ci mostra tutta la miseria della condizione umana totalmente sottomessa al peccato, al dolore, alla sofferenza, alla cattiveria altrui, all’ostilità della natura, alla precarietà del tempo, alla inconsistenza della vita, alla vulnerabilità della salute e delle cose, alla fatica del lavoro, alla triste fine di ogni realtà, alla morte. Il salmista ha davanti a sé uno dei quadri più scuri che possa realizzarsi nella vita di un uomo, quello in cui si perde anche la speranza di un intervento divino salvifico. Egli, convinto di non potersi sottrarre alla morte, con grandi lamenti si rivolge a Dio solo per ottenere un breve respiro di sollievo dalla sofferenza e dall’inquietudine in cui versa. E’ un’elegia vera e propria, dall’inizio alla fine. Ma quello che interessa a noi è lo spirito del Salmista, uno spirito non ribelle, non infedele, non rassegnato al peccato e alla stoltezza. Uno spirito umile che si riconosce di fronte a Dio per quello che è, che sa di non essere all’altezza di Dio e che nonostante ciò vorrebbe piacere a Dio, sforzandosi e desiderando di non peccare, di non interagire con l’empio. Uno spirito che riconosce le sue colpe e la sua stoltezza e che per questo, secondo una sua logica purificatrice, si ritiene meritevole di essere corretto con castighi. E’ uno spirito che non si sente padrone del mondo, che non si attacca alla sua terra e alla sua casa, che non si gonfia, che non è pieno di sé, che sente il peso dello sguardo di Dio sulle sue nefandezze, che sa benissimo di non potere contare né nelle sue forze, né nel suo lavoro, né nel suo prossimo, né nelle sue ricchezze. Anziché gonfiarsi, come noi tutti sappiamo fare, questo spirito si sgonfia, considerando se stesso alla stregua di un soffio, di un alito inconsistente, di una brezza che svanisce nel nulla di fronte a qualsiasi altra realtà. Il Salmista vive quella condizione di preparazione necessaria a potere sperimentare la misericordia di Dio. Egli non raggiunge in pieno tale condizione e, inconsapevolmente, si trova ancora nell’attesa, in un’attesa che apparentemente sembra stremarlo, ma che, in effetti, serve solo a far crescere la sua capacità di ricevere l’amore di Dio. Alla scuola del salmista dobbiamo allora imparare a vivere la vera umiltà, purificandoci nello spirito per potere ricevere lo Spirito.
Oggi pregheremo per tutte quelle persone che confidando solo in se stesse, nelle proprie forze, nelle proprie capacità, nelle proprie conoscenze, e nelle proprie possibilità economiche, si chiudono a Dio, impedendogli di soccorrerle nel vero bisogno, perché imparino ad esercitare la carità fraterna per sperimentare personalmente la misericordia di Dio.
Capo d’Orlando 19/07/2012
Dario Sirna