“UMILIO’ SE STESSO”

FILIPPESI 2, 1-4

Buongiorno a tutti,

il nostro  cammino oggi  è trae energie  dai seguenti versi della lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi:

“ 5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
6egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
7ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
9Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!,
a gloria di Dio Padre.

 

In questo splendido canto San Paolo parlandoci di Gesù e in particolare dell’incarnazione del Figlio di Dio, ci manifesta il vero significato dell’umiltà, invitandoci nel contempo, sull’esempio del Signore,  a fare nostro questo grande valore. Contrariamente a quanto creduto e a quanto comunemente pensato essere umili non significa riconoscersi per quello che si è effettivamente.

Se siamo peccatori, mortali, inclini al male, pieni di miserie, incapaci di amare, immersi nell’egoismo, schiavi della carne e del mondo, idolatri e servi del male, deboli, bisognosi di aiuto, incapaci di trovare in noi salvezza e stabilità, impotenti di fronte alle forze che ci travolgono quotidianamente, nel momento in cui prendiamo coscienza di questa nostra condizione e la accettiamo non abbiamo compiuto alcun atto di umiltà, pur avendo abbandonato la via della superbia. Essere coscienti della propria bassezza, accogliere la verità che ci riguarda, rifiutare la superbia che nega i nostri limiti e ci innalza su posizioni false e inesistenti,  è sicuramente un passo importante, anzi fondamentale nel cammino della salvezza e nella sequela di Cristo, ma non corrisponde affatto alla condizione dell’umiltà, per cui non ci arreca nessun merito, pur costituendo per noi un gran vantaggio.

San Paolo ci spiega che essere umili significa abbassarsi, annullarsi, passare da una condizione reale di privilegio a un condizione di svantaggio. Così il vero umile è Cristo il quale per amore nostro trovandosi nella condizione privilegiata di Figlio di Dio, e quindi di Dio, non ha esitato a rivestire anche la condizione di uomo, abbassandosi al livello del servo. In tale condizione da immortale ha dovuto accettare anche la morte e persino la morte di croce. In tal modo Egli con la perfezione dell’obbedienza impeccabile al Padre è stato esaltato da Dio, ottenendo per tutta l’umanità il privilegio della salvezza eterna e della comunione del Paradiso.

A noi uomini non compete il ruolo di Salvatore, ma il ruolo di salvati. Ciò non significa che non siamo chiamati all’umiltà, ma che non potendo mai raggiungere la perfezione di Cristo e della sua umiliazione possiamo solo conformarci a Lui per godere dalla partecipazione alla sua vita e dalla risposta al suo amore dei benefici della sua umiltà.  Questo passaggio ci obbliga ad abbandonare la via della superbia e a tendere verso la via dell’umiltà imitando il nostro Salvatore nelle relazioni con i fratelli. In tale ambito l’umiltà diventa rinunzia a se stessi in favore degli altri e servizio da prestare nei confronti del nostro prossimo, visto non più come rivale e nemico ma come individuo da amare, da rispettare e da attenzionare più della nostra stessa persona. Rinunciare ai bisogni del proprio io per dedicarsi al bene altrui, per donare Cristo a tutti, per indicare ad ogni uomo la via della salvezza e dell’amore, per consentire a coloro che sono nel bisogno di trovare l’aiuto di cui necessitano, significa spogliarsi di se stessi e rivestirsi della povertà del mondo per colmarla con la ricchezza di Cristo. La nostra missione di umiltà consiste allora nel traghettare per amore verso Dio ogni creatura, mettendo le sue necessità di vita davanti alle nostre.

Capo d’Orlando, 04/11/2014

Dario Sirna.

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