“SI RENDE FORSE MALE PER BENE?”

GEREMIA 18, 18-20

Buongiorno a tutti,

il cammino di oggi  continua a sviluppare il tema del discernimento e della conversione attraverso i seguenti versi del libro del Profeta Geremia:


[I nemici del profeta] dissero: «Venite e tramiamo insidie contro Geremìa, perché la legge non verrà meno ai sacerdoti né il consiglio ai saggi né la parola ai profeti. Venite, ostacoliamolo quando parla, non badiamo a tutte le sue parole».
Prestami ascolto, Signore,
e odi la voce di chi è in lite con me.
Si rende forse male per bene?
Hanno scavato per me una fossa.
Ricòrdati quando mi presentavo a te,
per parlare in loro favore,
per stornare da loro la tua ira.

 

Il testo della Parola di Dio di oggi ci mette di fronte alla necessità di  analizzare e scegliere tra le due mentalità che caratterizzano la vita dell’uomo. Da un parte l’uomo è istigato a impostare la sua vita nella continua ricerca di se stesso, nell’affermazione della sua persona, nell’imposizione del suo io, dall’altra, invece, è invitato a scegliere l’amore. In sintesi vivere per se stessi o vivere per l’altro? Il nostro io viene messo davanti a tutti o è messo dopo tutti? Nel primo caso si diventa schiavi di se stessi, nel secondo servi dell’amore. Schiavitù e servitù, due termini apparentemente uguali, ma profondamente diversi. Entrambi indicano una sottomissione. Nel primo caso la sottomissione è una perdita totale di libertà nel secondo caso invece è una scelta autonoma di libertà. Essere sottomessi all’io significa infatti dovere sottostare alla dipendenza di desideri che non trovano e non danno mai soddisfazione all’anima e che la  lasciano in preda di un’eterna infelicità. Essere sottomessi all’amore significa, invece, nutrire continuamente l’anima di grandi soddisfazioni interiori e di grandi appagamenti, provenienti direttamente dall’amore salvifico di Dio. La prima sottomissione uccide l’anima e la allontana per sempre da Dio, la seconda, invece, rinnova continuamente l’anima, la rivitalizza, la alimenta e la conduce alla comunione con Dio. La scelta tra queste due differenti mentalità di vita non può essere effettuata in base alla quantità di dolore che l’una o l’altra  possono risparmiare. Se usiamo il metro del dolore umano potremmo credere di trovare la condizione più vantaggiosa dell’uomo nella scelta di vivere l’egoismo, ove appunto la parola stessa egoismo ci indica la voglia di cercare e attuare tutte quelle situazioni in cui ad essere soddisfatto è  il nostro io. Una ricerca di felicità del tutto personale e che non tiene assolutamente in conto della felicità degli altri. Tutto quello che disturba i nostri interessi, il nostro tornaconto, la nostra gioia e il nostro piacere viene automaticamente lottato e distrutto al fine di edificare se stessi. La lotta viene dunque condotta contro gli altri, perché il pericolo che minaccia la nostra felicità e il nostro interesse è focalizzato tutto negli altri. Nel caso invece della scelta dell’amore le nostre intenzioni hanno direzioni diametralmente opposte, non cerchiamo il nostro tornaconto, non vogliamo esaltare il nostro io, non distruggiamo e lottiamo tutti coloro che costituiscono un impedimento alla realizzazione del nostro interesse personale e della nostra felicità, ma spostiamo la nostra attenzione sul cuore di Dio e da qui sul cuore di ogni fratello. Conduciamo dunque una lotta non contro il nostro prossimo, ma contro tutto ciò che si oppone al bene del nostro prossimo, e quindi  contro il nostro stesso io. Ecco perché questa seconda scelta, implicando la continua mortificazione di noi stessi, la morte del nostro egoismo per la vita del nostro prossimo, è la più dolorosa e apparentemente anche la più sconveniente. Il Profeta, in totale obbedienza a Dio e quindi in ottemperanza all’amore, si mette al servizio di Dio, si fa suo servo, rinunzia a se stesso per il bene del popolo, per indicare al popolo di Dio la via della salvezza e dell’amore. A questa mentalità si oppone la mentalità del popolo stesso, che non percependo l’intenzione benefica di Dio e del Profeta, si scaglia contro questi ritenendosi minacciato nei suoi interessi dalle sue parole di vita. Il popolo ha scelto di servire il suo io, il Profeta ha scelto di servire il popolo su richiesta di Dio. Questa contrapposizione trova la sua più alta drammaticità nel rifiuto da parte del popolo delle parole del Profeta e nelle congiure operate contro di Lui. La via dell’amore ci chiama proprio a queste difficoltà, difficoltà vissute in prima persona da Dio, che in Cristo ha affrontato la croce per la nostra salvezza. Essere servi dell’amore significa vivere fino in fondo questa libertà e non lasciarsi mai condizionare e ricattare dalle minacce di male e di dolore che vengono sollevate contro chi si propone di fare il bene. La libertà dell’amore non sottostà infatti al condizionamento del dolore, ma lo vince insieme alla morte per donare la vita. Non appartenere a se stessi, ma a Dio e ai nostri fratelli, significa dunque imitare perfettamente Cristo, farsi servi dell’amore come lo è Lui, vivere in pienezza la libertà di amare e superare così tutti i limiti imposti alla nostra esistenza dal peccato, dal dolore e dalla morte.

Capo d’Orlando, 27/02/2013

Dario Sirna.

 

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