LUCA 13, 1-9
Buongiorno a tutti,
continuiamo a camminare sulle vie tracciate dall’Evangelista Luca, attraverso la meditazione dei versi del Vangelo di seguito riportato:
“1 In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai».”
La Parabola raccontata in questo brano di Vangelo ci insegna tantissime cose in tema di amore. Essa esprime infatti tutta la grazia contenuta nel cuore di chi ama e diventa espressione eloquente della tenerezza, della dolcezza, della bontà, della pazienza e della misericordia di chi fa l’esperienza dell’amore. Amare è un’arte bellissima, la più bella di tutte le arti che l’uomo possa mai esercitare, l’unica vera arte cui tutti siamo chiamati, l’arte da cui derivano tutte le altre arti che esprimono i sentimenti umani. Maestro assoluto di quest’arte è Dio, noi siamo suoi discepoli e come tali abbiamo l’obbligo di riferirci sempre ed esclusivamente a Lui per crescere nell’apprendimento e nell’esercizio di questa edificate realtà. La Parabola di oggi ci mostra la grande cura con cui il Signore si dedica a noi. Il fico sterile è il nostro cuore inaridito dall’egoismo, dal male e dalla cattiveria. Un cuore chiuso in se stesso è capace infatti solo di prendere avidamente dagli altri senza mai dare. L’egoismo e il male isolano l’uomo da Dio e dal resto della società, costringendolo ad amare solo se stesso, a privarsi della grande gioia di dare, di essere partecipe della felicità degli altri, di favorire e costruire il bene di tutti, di vivere per la gioia altrui. Il rischio ancora più grave è che tutto ciò che è esterno al nostro interesse prettamente personale, individuale ed egoistico venga da noi visto come una minaccia, come un pericolo da lottare, come una realtà da rifiutare, da condannare e da combattere. In tale condizione il nostro cuore produce solo frutti secchi e acerbi, frutti dal gusto amaro, pieni di veleno e indigesti, che oltre a nuocere ai nostri fratelli rendono infelici anche noi. Il fico che non produce dolcezza è il fico che non vedrà mai la mano dell’uomo innalzarsi verso i suoi rami per nutrirsi e deliziarsi della sua bontà, né potrà mai sperimentare la grande soddisfazione di avere vissuto per produrre, di essersi sforzato nella sua vita per donare le sue fatiche agli altri, di avere lottato duramente contro tutte le avversità del tempo, della siccità e del freddo, per offrire nella nuova stagione della primavera alimento a tutti coloro che a lui accorrono pieni di speranza e certi di trovare tra i suoi rami oltre alle verdi e lussureggianti foglie squisiti e profumati frutti, prodotti non per se stesso, ma per rendere allegro il cuore di chi verso di lui allunga le sue mani. Se la nostra vita non corrisponde a questa realtà, se nel nostro cuore non è presente questo desiderio, se in noi non vediamo altro che una totale chiusura verso gli altri e una ricerca continua di noi stessi, allora dobbiamo allarmarci e prendere seri provvedimenti. Possiamo essere feriti e avere paura di lanciarci in questa direzione in cui rinunciamo a noi stessi per essere degli altri senza certezza alcuna di essere accolti e gratificati, ma questo non può e non deve distoglierci dall’intento dell’amore. Deve essere nostra chiara e lucida coscienza che l’amore comporta il dolore della rinunzia e del rifiuto e questo limite non deve condurci a rinnegare l’arte di amare. In ognuno di noi tra le tante aspirazioni del cuore c’è quella dell’amore, deve essere nostra cura fare emergere tale aspirazione e impedire a tutte le altre di soffocarla. Non lasciamoci illudere dalla ricerca di tutte quelle auto affermazioni che soddisfano l’io e che inibiscono l’amore, ogni aspetto della nostra personalità deve essere sviluppato solo ed esclusivamente in vista del più importante aspetto dell’amore, cosicché le nostre inclinazioni personali devono trovare la loro naturale evoluzione nella ricerca affannosa dell’affermazione dell’amore. In questo contesto in cui l’amore e il suo donarsi agli altri è visto come l’unico senso di tutte le fatiche della terra, l’unico significato e valore del soffrire umano, ogni fico che rimane improduttivo ha perso tutto il gusto della vita e rimane l’unico e inutile spettatore di se stesso. La Parabola di oggi ci mostra Dio fortemente interessato e pienamente impegnato verso tutti gli alberi che non producono frutto. Il grande Agricoltore Divino non si arrende di fronte all’aridità del cuore umano e continua a riversare su di esso tutte quelle cure amorevoli che sono necessarie perché esso si ridesti dallo stato di torpore improduttivo per fargli conoscere e vivere nuove stagioni primaverili. E’ tipico e proprio dell’Amore avere pazienza, continuare a sperare, prorogare le scadenze, prolungare le attese, concedere nuove opportunità, essere misericordiosi, rinunciare a se stesso per dare agli altri, fare continui e ripetuti sacrifici per non perdere nessuno, lottare con tutte le sue forze e fino allo stremo pur di dare la vita stessa, pur di salvare la persona amata. Questo ci insegna oggi Gesù. Egli nella parabola del fico ci fa vedere questo aspetto del suo amore per noi, ci mette di fronte alla grandezza del suo amore per dare luce ai nostri occhi, per sciogliere i nostri cuori, per svegliarci dalla nostra pigrizia, per alimentare in noi il desiderio di corrisponderlo con la piena partecipazione alla sua vita di amore. Allo stesso tempo oltre a focalizzare la nostra attenzione sul nostro freddo atteggiamento nei riguardi dell’amore e sulla sua continua disponibilità a donarsi per noi e in noi, Egli ci invita ad imitarlo nell’arte dell’amore. I nostri primi frutti consistono proprio nell’accogliere Dio nella nostra vita e nel trasmetterlo agli altri con la stessa disponibilità, con la stessa pazienza, con la stessa cura e le stesse attenzioni usate da Dio nei nostri riguardi. Per vivere l’amore nella nostra vita non basta infatti aprirsi a Dio nell’atto di prendere dal suo cuore, occorre, altresì, imitarlo. Solo con l’imitazione perfetta di Dio noi possiamo entrare in piena comunione con Lui e cominciare ad assaporare il vero gusto dell’amore. Noi siamo fichi sterili in mezzo ad una foresta di fichi sterili, ma abbiamo dalla nostra parte due grandi occasioni per vivere il dono meraviglioso dell’amore. La prima è rappresentata da Dio che si offre per noi, la seconda dai nostri fratelli che diventano potenziali destinatari delle nostre offerte. Abbiamo dunque la grande opportunità di vivere la gioia di ricevere da Dio e nel contempo la gioia di dare ai nostri fratelli. Le nostre foglie e i nostri rami siano allora rinvigoriti e utilizzati non per innalzare la nostra gloria su chi ci sta intorno ma per fare sbocciare da essi le preziosissime gemme dei frutti, per un raccolto abbondante, senza fine, gustoso e nutriente. La radice dell’anima potrà così profondare negli abissi dell’amore e piantarsi solidamente nel cuore di Dio per divenire sua stessa radice e parte della sua stessa vita. Infine, non aspettiamo che siano gli altri a compiere il primo passo, non aspettiamo che siano gli altri ad essere gentili con noi, ma sull’esempio di Cristo e in nome di quanto da Lui abbiamo ricevuto fino ad ora, facciamo per primi il nostro passo e perseveriamo in tale cammino, anche se difficile, ostacolato e rifiutato.
Capo d’Orlando, 26/10/2013
Dario Sirna.