DA PORTELLA GAZZANA A PIZZO SCHIFANI
Nelle precedenti escursioni effettuate nella Stretta di Longi abbiamo più volte menzionato le Rocche del Crasto, riferendoci al massiccio montuoso le cui falde meridionali e orientali sono bagnate dalla Fiumara Fitalia. In effetti i contrafforti rocciosi che per centinaia di metri stringono il fiume in una meravigliosa e selvaggia gola, altro non sono che le basi su cui poggia l’intero massiccio roccioso. |
Dalla Stretta, alzando lo sguardo verso il cielo, gli occhi incontrano l’orizzonte proprio sulle sagome rocciose e ardite di queste bellissime montagne. Dopo le numerose emozioni che esse ci hanno regalato in basso, non vediamo l’ora di raggiungere le vette più alte per sperimentare direttamente la gioia di camminarci sopra. Ci sono tante vie di accesso al massiccio montuoso, noi per entrare in questo piccolo regno di pietra scegliamo una delle più facili, la Portella Gazzana. Da qui imbocchiamo il sentiero sterrato che si sviluppa a nord del locale rifugio e, fissando lo sguardo sulle rocche, cominciamo a salire a piedi, come sempre. Dopo i primi passi, immediatamente l’occhio viene catturato da un’onda di verde scuro, meravigliosamente lussureggiante. Sono querce che fanno parte di un fittissimo bosco che partendo dalla frazione Pado di Longi sale fino in cima alle montagne. Il bosco, noto come Bosco Soprano, colpisce per la sua eccezionale compattezza, pulizia, uniformità, e salute. Pochissimi boschi per bellezza possono gareggiare con questo polmone verde. Il bosco colpisce anche per il contesto roccioso che gli fa da cornice. Si presenta come un grandissimo smeraldo puro ed intenso incastonato nel cestello della corona delle Rocche. In effetti queste montagne con le loro cime appuntite e argentate sembrano un diadema regale poggiato da Dio sulla testa della Sicilia. Salendo e volgendoci indietro ammiriamo uno dei paesaggi più belli dei Nebrodi. Da Est a Ovest la dorsale dei Nebrodi svetta con le sue più alte cime: Serra de Re e Monte Soro. Ricoperte da un manto verdissimo di faggi, le due cime con le loro dolci forme arrotondate riempiono tutta la linea dell’orizzonte meridionale. Dai fianchi della catena fuoriescono, come da una spina di pesce, vari costoni montuosi trasversali, chiamati serre. Tra di esse menzioniamo la Serra Corona, la Serra Ladri e il Pizzo Mueli. In questo periodo, tardo primaverile, nella vegetazione spontanea spiccano vaste aree gialle, costituite da veri e propri giardini naturali di profumatissime ginestre. Siamo sopra i 1.000 metri di altezza e l’aria è pulitissima, la visibilità ottima, il caldo sopportabile, i raggi solari potenti. Senza fretta e godendoci la camminata continuiamo a salire. Proseguendo, il bosco di Pado diventa sempre meno visibile mentre di fronte a noi si cominciano a vedere le prime formazioni rocciose più importanti. Sono ammassi di rocche che sovrapposti gli uni agli altri formano un grande e grigio massiccio avente quasi l’aspetto di un grandissimo gioco di acqua a cascata. In mezzo al massiccio si distinguono numerose pareti verticali che con strapiombi lisci e rosati si innalzano formando a varie altezze delle cinture che abbracciano la montagna nel tentativo di contenerne la pancia e di tirarla in alto. Nonostante le nude e aguzze rocce, la sagoma principale è abbastanza armoniosa. Salendo lungo la strada, questo massiccio roccioso, noto come Rocche del Crasto, rimane sempre alla nostra sinistra. Arrivati nel punto più alto della strada, ci accoglie un fortissimo profumo di ginestra e tutto intorno, nell’aria, variopinte farfalle, dalle forme e dai colori più svariati, rallegrano il paesaggio fortemente rupestre. Siamo in mezzo ai pascoli e vari greggi si intravedono in lontananza mentre pascolano. Superata la portella sulla cima del sentiero, si apre lo spettacolo delle Rocche. Si presentano come dei monumenti, artisticamente collocati in mezzo ad un giardino di verdi prati. Sono alte, robuste, con coloratissime sfumature. Presentano pareti scoscese, alternate a strapiombi e a pendii meno ripidi. Ci inoltriamo all’interno di questo parco incantato e con l’occhio scrutiamo tutti i suoi angoli per ammirane la suggestiva bellezza e per decidere il percorso da seguire. Tutte le rocche sono belle e tutte sembrano invitarci a visitarle. Decidiamo di scalare una ad una tutte le punte che si proiettano sul versante di Longi. Cominciamo dalla Rocca che Parla, la scaliamo e ben presto ci troviamo sulla sua cima occupata da una folla gremita di enormi massi grigi, accostati l’uno all’altro, in una calca che non si capisce bene se sia dovuta alla necessità di stare più in alto possibile, nelle posizioni meno ripide, per evitare di scivolare giù e fare un volo di migliaia di metri, oppure se sia dovuta ad una lotta per la conquista della posizione più panoramica. Queste sono infatti le sensazioni della rocca. Una veduta aerea, panoramica, di eccezionale pregio e contemporaneamente il brivido di un vertiginoso baratro. Dopo aver raggiunto il punto più alto ci spingiamo in avanti e scorgiamo sul ciglio del precipizio una bella croce di ferro battuto, innalzata tra le rocce. La presenza della croce ci incoraggia e allo stesso tempo ci riempie di gioia. Essa è orientata a est e sembra guardare in basso verso il centro di Longi, per proteggerne gli abitanti, continuamente minacciati da rovinose frane. Nel nostro cuore cominciano a battere la lode e la preghiera. Soli, sperduti sul pizzo di queste inaccessibili rocche, lontani dalla civiltà, ci sentiamo a casa di Dio. Sopra di noi solo cielo, cielo e cielo. Attorno a noi le meraviglie di un creato di eccezionale bellezza. In qualsiasi direzione giriamo gli occhi restiamo stupiti e catturati dai panorami che ci circondano. Decidiamo di proseguire e scegliamo come meta di scalare la successiva cima che si alza in direzione Messina. Questa apparentemente sembra una dolce collinetta, e così in effetti è fino al suo punto più alto, poi improvvisamente, senza dare alcun segno, si trasforma in uno strapiombo grigio altissimo che si innalza dalle spalle di ponente di Filipelli. Siamo costretti a rimetterci sul sentiero e a percorrerlo, per alcune centinaia di metri, nella direzione per Alcara Li Fusi, fino a quando cioè non imbocchiamo il bivio per San Marco D’Alunzio. Da questo accesso riprendiamo a salire e ci ritroviamo nuovamente sulle rocche che si affacciamo su Longi. In questa zona attraversiamo un bosco di pini, cedri e di robinia, camminiamo in quota percorrendo le creste fino a scollinare sul versante nord. Da qui la vista vola sul mare, sulle isole Eolie e sulla costa, ma prima di raggiungere queste splendenti posizioni, si ferma su San Marco D’Alunzio. L’abitato ci mostra le case strettamente arroccate sul cocuzzolo, in posizione fortemente panoramica. Il paese, attira immediatamente l’attenzione perché sembra sospeso tra l’azzurro sottostante del mare e il blu soprastante del cielo. Più a ponente, sulla costa, si scorge il golfo di Sant’Agata di Militello, il suo porto, e, disteso su un lungo costone montuoso, il paese di San Fratello, che sembra godersi la tintarella di inizio estate. Girando le spalle al mare e affacciandoci sul versante interno, rivediamo, da una prospettiva completamente diversa lo spettacolo delle Rocche del Crasto, della Rocca che Parla e di tutte le altre rocche attraversate. La camminata continua a svolgersi in mezzo al profumo inebriante delle ginestre fiorite. Lasciato anche questo pizzo continuiamo a spostarci in direzione est. Ora cominciamo a scendere e lungo il percorso incontriamo varie posizioni panoramiche che ci consentono di scattare tante foto con una prospettiva delle Rocche sempre più particolare. Durante il tragitto attraversiamo un verde e rigoglioso boschetto di Douglas, il primo visto in zona. Gli alberi sono molto vigorosi e il loro verde, arricchito dei nuovi germogli, è splendente. Scendiamo ancora e attraversando ora boschi di pini, ora macchie fiorite di ginestra gialla, lasciamo la via principale per avviarci sul Pizzo Schifani, l’ultima grande rocca che domina il territorio di Longi. Qui ci fermiamo nuovamente per ammirare la nuova prospettiva aerea. Longi è sotto di noi, ad una distanza non superiore, in linea d’area, a 500-600 metri, Galati Mamertino, sembra potersi toccare allungando il braccio. Anche qui come sulla Rocca che Parla troviamo una bella croce di ferro, identica alla precedente. Ce ne rallegriamo e cogliamo l’occasione per ringraziare e lodare il buon Dio per le grandi grazie che sempre ci concede e per il dono di questa bellissima giornata, trascorsa scavalcando tutte le rocche del grande diadema che incorona Longi.
Capo d’Orlando, 09/06/2012
Dario Sirna.