ISAIA 38, 10-14. 17-20 – CANTICO DI EZECHIA
Buongiorno a tutti,
oggi orienteremo i passi del nostro cammino seguendo le indicazioni fornite dalle seguenti parole di Isaia :
Io dicevo: «A metà della mia vita †
me ne vado alle porte degli inferi; *
sono privato del resto dei miei anni».
Dicevo: «Non vedrò più il Signore *
sulla terra dei viventi,
non vedrò più nessuno *
fra gli abitanti di questo mondo.
La mia tenda è stata divelta e gettata lontano, *
come una tenda di pastori.
Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, †
mi recidi dall’ordito. *
In un giorno e una notte mi conduci alla fine».
Io ho gridato fino al mattino. *
Come un leone, così egli stritola tutte le mie ossa.
Pigolo come una rondine, *
gemo come una colomba.
Sono stanchi i miei occhi *
di guardare in alto.
Tu hai preservato la mia vita
dalla fossa della distruzione, *
perché ti sei gettato dietro le spalle
tutti i miei peccati.
Poiché non ti lodano gli inferi, *
né la morte ti canta inni;
quanti scendono nella fossa *
nella tua fedeltà non sperano.
Il vivente, il vivente ti rende grazie *
come io faccio quest’oggi.
Il padre farà conoscere ai figli *
la fedeltà del tuo amore.
Il Signore si è degnato di aiutarmi; †
per questo canteremo sulle cetre
tutti i giorni della nostra vita, *
canteremo nel tempio del Signore.
In questo cantico, noto come cantico di Ezechia, re di Giuda, troviamo tutto il percorso umano di una vita colpita in giovane età da una grave malattia. La malattia ha la capacità di ridurre l’uomo all’impotenza e di abbatterlo in tutto il suo vigore fisico, morale e interiore, mostrandogli il cupo avvicinarsi della morte e della fine di ogni cosa. La tristezza prodotta dalla malattia colpisce gravemente l’uomo, peggiorando ulteriormente la sua condizione con la prospettiva di una fine in cui tutto sembra perdersi e non avere più valore. L’uomo è fortemente legato alla vita e la considera il suo bene più prezioso. Egli la difende da tutte le minacce che la mettono in pericolo, ma nel caso delle malattie sperimenta l’angoscia di tutta la sua impotenza. Ricorrere a Dio rimane l’unica speranza di salvezza. Anche in questo caso, però, può accadere che la risposta di Dio tardi ad arrivare, aggravando ulteriormente lo stato di angoscia e di sofferenza morale. La preghiera diventa una forte supplica, la lode si trasforma in uno straziante grido di aiuto, mentre Dio sembra non vedere e non sentire. Questo cammino spaventa l’uomo, gettandolo nello sgomento dell’abbandono. Quando le forze e le possibilità umane vengono meno, l’aiuto divino non arriva e lo spettro della morte si avvicina sempre di più, anche la fede comincia a vacillare. Sono questi i momenti più bui dell’esistenza terrena. L’uomo si interroga, esamina la sua coscienza, cerca di capire quale sia l’errore commesso nella sua vita, cerca di trovare una via qualsiasi che gli prometta una speranza, si aggrappa a tutto ciò che lo incoraggia. Questo è un momento molto delicato della vita, quello in cui il Signore nel silenzio e nell’oscurità agisce all’interno di ogni uomo per produrre la morte di tutto ciò che può essere di impedimento alla crescita nell’amore e nella fede. L’uomo avverte il sapore di questa morte e soffre il distacco procurato da essa, senza comprendere che a morire non è lui ma ciò che ha procurato del male a se stesso e agli altri e che faceva comunque parte della sua persona. E’ in questo nuovo terreno preparato da Dio che risorge la luce divina con tutto il suo immenso splendore, riportando la gioia incontenibile nel cuore dell’uomo. L’uomo esce da questa esperienza fortificato nell’amore, pieno di coraggio e di entusiasmo, desideroso di cantare e testimoniare al mondo intero il grande beneficio sperimentato con Cristo. L’amore diventa l’unico scopo della vita dell’uomo. Gesù Salvatore è, allora, accolto nel cuore come maestro, guida, compagno da seguire, imitare, non lasciare mai e da consegnate a tutti. Lo spettro della morte fisica spesso impaurisce l’uomo molto più dello spettro della morte spirituale. Quest’ultima morte, provocata dal peccato, dalla disobbedienza a Dio, dall’abbandono della via del bene e dell’amore, non produce sulla persona umana gli stessi effetti della morte fisica, eppure essa è molto più grave, più pericolosa, più subdola. Essa viene accolta senza repulsione alcuna. Ma è dalla vita spirituale che dipende anche la vita fisica e non si può difendere quest’ultima senza curare la prima. Ecco perché è necessario arrivare all’oscurità interiore per morire a se stessi e risorgere in Cristo, ottenendo la grazia della vita eterna.
Capo d’Orlando, 11/09/2012
Dario Sirna