LETTERA AGLI EBREI (11, 3)
Buongiorno a tutti,
il cammino di oggi sviluppa il tema della fede e si svolge sotto la guida del Santo Padre Benedetto XVI, di cui di seguito riportiamo il testo integrale dell’udienza generale di ieri 6 febbraio. La Parola di Dio che ci istruisce in merito è tratta dalla Lettera agli Ebrei di San Paolo Apostolo:
«Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’ invisibile ha preso origine il mondo visibile»
BENEDETTO XVI – UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI – Mercoledì, 6 febbraio 2013
Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell’essere umano
Cari fratelli e sorelle,
il Credo, che inizia qualificando Dio come “Padre Onnipotente”, come abbiamo meditato la settimana scorsa, aggiunge poi che Egli è il “Creatore del cielo e della terra”, e riprende così l’affermazione con cui inizia la Bibbia. Nel primo versetto della Sacra Scrittura, infatti, si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1): è Dio l’origine di tutte le cose e nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama.
Dio si manifesta come Padre nella creazione, in quanto origine della vita, e, nel creare, mostra la sua onnipotenza. Le immagini usate dalla Sacra Scrittura al riguardo sono molto suggestive (cfr Is 40,12; 45,18; 48,13; Sal 104,2.5; 135,7; Pr 8, 27-29; Gb 38–39). Egli, come un Padre buono e potente, si prende cura di ciò che ha creato con un amore e una fedeltà che non vengono mai meno, dicono ripetutamente i salmi (cfr Sal 57,11; 108,5; 36,6). Così, la creazione diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come Creatore. «Per fede, – scrive l’autore della Lettera agli Ebrei – noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). La fede implica dunque di saper riconoscere l’invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile. Il credente può leggere il grande libro della natura e intenderne il linguaggio (cfr Sal 19,2-5); ma è necessaria la Parola di rivelazione, che suscita la fede, perché l’uomo possa giungere alla piena consapevolezza della realtà di Dio come Creatore e Padre. È nel libro della Sacra Scrittura che l’intelligenza umana può trovare, alla luce della fede, la chiave di interpretazione per comprendere il mondo. In particolare, occupa un posto speciale il primo capitolo della Genesi, con la solenne presentazione dell’opera creatrice divina che si dispiega lungo sette giorni: in sei giorni Dio porta a compimento la creazione e il settimo giorno, il sabato, cessa da ogni attività e si riposa. Giorno della libertà per tutti, giorno della comunione con Dio. E così, con questa immagine, il libro della Genesi ci indica che il primo pensiero di Dio era trovare un amore che risponda al suo amore. Il secondo pensiero è poi creare un mondo materiale dove collocare questo amore, queste creature che in libertà gli rispondono. Tale struttura, quindi, fa sì che il testo sia scandito da alcune ripetizioni significative. Per sei volte, ad esempio, viene ripetuta la frase: «Dio vide che era cosa buona» (vv. 4.10.12.18.21.25), per concludere, la settima volta, dopo la creazione dell’uomo: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (v. 31). Tutto ciò che Dio crea è bello e buono, intriso di sapienza e di amore; l’azione creatrice di Dio porta ordine, immette armonia, dona bellezza. Nel racconto della Genesi poi emerge che il Signore crea con la sua parola: per dieci volte si legge nel testo l’espressione «Dio disse» (vv. 3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). E’ la parola, il Logos di Dio che è l’origine della realtà del mondo e dicendo: “Dio disse”, fu così, sottolinea la potenza efficace della Parola divina. Così canta il Salmista: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera…, perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (33,6.9). La vita sorge, il mondo esiste, perché tutto obbedisce alla Parola divina.
Ma la nostra domanda oggi è: nell’epoca della scienza e della tecnica, ha ancora senso parlare di creazione? Come dobbiamo comprendere le narrazioni della Genesi? La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita. Quindi, la scrittura ci dice che l’origine dell’essere, del mondo, la nostra origine non è l’irrazionale e la necessità, ma la ragione e l’amore e la libertà. Da questo l’alternativa: o priorità dell’irrazionale, della necessità, o priorità della ragione, della libertà, dell’amore. Noi crediamo in questa ultima posizione.
Ma vorrei dire una parola anche su quello che è il vertice dell’intera creazione: l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico “capace di conoscere e di amare il suo Creatore” (Cost. past. Gaudium et spes, 12). Il Salmista guardando i cieli si chiede: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8,4-5). L’essere umano, creato con amore da Dio, è ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo; a volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per lui.
I racconti della creazione nel Libro della Genesi ci introducono anche in questo misterioso ambito, aiutandoci a conoscere il progetto di Dio sull’uomo. Anzitutto affermano che Dio formò l’uomo con la polvere della terra (cfr Gen 2,7). Questo significa che non siamo Dio, non ci siamo fatti da soli, siamo terra; ma significa anche che veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono. A questo si aggiunge un’altra realtà fondamentale: tutti gli esseri umani sono polvere, al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia, al di là di ogni differenza sociale; siamo un’unica umanità plasmata con l’unica terra di Dio. Vi è poi un secondo elemento: l’essere umano ha origine perché Dio soffia l’alito di vita nel corpo modellato dalla terra (cfr Gen 2,7). L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27). Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana – ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere. L’essere ad immagine e somiglianza di Dio indica poi che l’uomo non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio.
Nei primi capitoli del Libro della Genesi troviamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente (cfr 2,15-17; 3,1-5). Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio (cfr Gen 2,8-15). Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la Sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: «È vero che Dio ha detto “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi. Questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, accusa immediatamente Eva (cfr Gen 3,12); i due si nascondono dalla vista di quel Dio con cui conversavano in amicizia (cfr 3,8-10); il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel quale si celano insidie (cfr 3,14-19); l’invidia e l’odio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo: esemplare è Caino che uccide il proprio fratello Abele (cfr 4,3-9). Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte. E così quanto Dio aveva creato era buono, anzi, molto buono, dopo questa libera decisione dell’uomo per la menzogna contro la verità, il male entra nel mondo.
Dei racconti della creazione, vorrei evidenziare un ultimo insegnamento: il peccato genera peccato e tutti i peccati della storia sono legati tra di loro. Questo aspetto ci spinge a parlare di quello che è chiamato il “peccato originale”. Qual è il significato di questa realtà, difficile da comprendere? Vorrei dare soltanto qualche elemento. Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo di sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri. Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che con il primo peccato l’uomo “ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione creaturale e conseguentemente contro il proprio bene” (n. 398). Turbata la relazione fondamentale, sono compromessi o distrutti anche gli altri poli della relazione, il peccato rovina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. Ora, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 404-406). E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore stesso può ripristinare le giuste relazioni. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo, come descrive l’inno nel secondo capitolo della Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11): mentre Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita.
Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo.
Capo d’Orlando, 07/02/2013
Dario Sirna