DANIELE 3, 26 – 41
Buongiorno a tutti,
il nutrimento necessario al cammino di oggi ci giunge delle seguenti parole del profeta Daniele:
Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri; *
degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre.
Tu sei giusto *
in tutto ciò che hai fatto.
Poiché noi abbiamo peccato, †
abbiamo agito da iniqui, *
allontanandoci da te,
abbiamo mancato in ogni modo.
Non ci abbandonare fino in fondo, †
per amore del tuo nome, *
non rompere la tua alleanza;
non ritirare da noi la tua misericordia, †
per amore di Abramo tuo amico,*
di Isacco tuo servo, d’Israele tuo santo,
ai quali hai parlato, †
promettendo di moltiplicare la loro stirpe
come le stelle del cielo, *
come la sabbia sulla spiaggia del mare.
Ora invece, Signore, *
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
ora siamo umiliati per tutta la terra *
a causa dei nostri peccati.
Ora non abbiamo più né principe, †
né capo, né profeta, né olocausto, *
né sacrificio, né oblazione, né incenso,
né luogo per presentarti le primizie *
e trovar misericordia.
Potessimo esser accolti con il cuore contrito *
e con lo spirito umiliato,
come olocausti di montoni e di tori, *
come migliaia di grassi agnelli.
Tale sia oggi davanti a te il nostro sacrificio *
e ti sia gradito,
non c’è delusione *
per coloro che in te confidano.
Ora ti seguiamo con tutto il cuore, *
ti temiamo e cerchiamo il tuo volto.
Questo cantico è un inno alla speranza e alla misericordia di Dio. L’infedeltà a Dio, specie per chi ha avuto la grazia di essere stato scelto e chiamato a ricevere e vivere il suo amore, è una delle sventure più grandi che possa abbattersi sulla sua vita. La situazione cui si riferisce il cantico è proprio quella del popolo ribelle all’alleanza e ai richiami del Signore, del popolo che infrange il suo patto con Dio per tradirlo con gli idoli, con il male e con i nemici del Signore. Ovviamente ciò causa la rovina del popolo eletto, che, privatosi spontaneamente dell’amore di Dio e dei suoi favori per lasciarsi sedurre da realtà malefiche e impotenti, finisce con il precipitare nel profondo baratro del peccato, della solitudine, dell’abbandono, della deportazione, dell’esilio e della schiavitù. In un momento di “lucidità” il popolo ricorda l’alleanza che aveva stretto con Dio, riconosce di essere venuto meno agli impegni che la stessa richiedeva, riconosce soprattutto di avere gravemente offeso l’amore di Dio con il tradimento e l’infedeltà. Dalla consapevolezza del danno generato dal peccato commesso nasce una scintilla di speranza che cerca di riaccendere l’antico fuoco dell’alleanza, ricordando le promesse fatte ai Padri. Promesse che Dio non ha potuto portare a compimento in quanto il popolo si era allontanato dalla condotta dei suoi avi, cercando rifugio altrove. Il ricordo delle promesse dei Padri e dell’amore che esiste tra loro e Dio è un ricordo che scuote positivamente Isdraele, facendogli percorrere la giusta via della conversione per rincontrare Dio nella sua infinita misericordia. Il popolo ha perso tutto, ora non gli resta più nulla degli antichi splendori, ma soprattutto ha perso la sua identità di appartenenza a Dio, identità che gli permetteva di confidare nell’alleanza stretta con il Signore. Occorre, dunque, riacquistare questa identità, riconfermare l’appartenenza a Dio, consolidare nuovamente l’alleanza stretta dai Padri. Questo cammino richiede il profondo pentimento del cuore, la sua contrizione, il rifiuto e il rinnegamento di tutte quelle realtà che hanno permesso al male di farsi strada in esso attraverso l’infedeltà. Il dolore per le sventure e i mali si trasforma allora in dolore dell’anima, dolore interiore per il male commesso e per il tradimento compiuto. Questo dolore è la via giusta per la purificazione del cuore da ogni sorta di germe che può allontanarlo da Dio. Prendere le dovute distanze dal male, rifiutarlo, tornare a compiere il bene, cercare Dio, affidarsi nuovamente a lui, confidare solo nel suo amore, non dare ascolto alle tentazioni diventa una necessità impellente dell’anima a cui bisogna dare immediata soddisfazione. Riconoscere il proprio errore, ammettere la propria colpa, è l’unico modo per tornare a Dio. Restare fermi nelle proprie posizioni, innalzarsi di fronte a Dio, insuperbirsi, ostinarsi a rifiutare la realtà e a cercare in se stessi l’origine dei propri errori e dei propri mali è un atteggiamento che conduce solo alla rovina totale. Dio attende pazientemente la conversione e mentre attende si prodiga affannosamente per accelerarla e consentirla. E’ questo il cammino compiuto dal popolo di Israele e cantato da Daniele, che forte della speranza riaccesa in sé dalla misericordia di Dio, con il fervore ridestato nel cuore dalla conversione e dalla contrizione, è libero di proclamare a voce alta e con ferma sicurezza che Dio è grande e giusto, degno di lode e di gloria per sempre. E’ questo il cammino che dobbiamo compiere quotidianamente anche noi, seguendo le orme di Cristo, per compiere il nostro pellegrinaggio terreno. In Cristo la misericordia ha assunto un volto e si esercita attraverso le inesauribili fonti dei Sacramenti, amministrati per volontà divina dalla Santa Madre Chiesa. In Cristo la riconciliazione è realtà assicurata dall’assoluzione concessaci da Dio tramite la Chiesa. In Cristo il nostro ritorno alla casa del Padre è ora più semplice, più facile e più agevole. Ma ciò non deve spingerci a sbagliare e a mancare nei confronti di Dio con più facilità, anzi al contrario deve produrre in noi l’effetto opposto, perché grazie a Cristo abbiamo una percezione sempre più profonda e più grande dell’immenso amore con cui Dio ci desidera. Avere questa conoscenza significa di contro avere anche una maggiore consapevolezza della gravità del nostro peccato, del male e del dolore che esso procura a Dio e al prossimo. Proprio per questa nostra maggiore consapevolezza, non possiamo non crescere anche nella direzione della purezza.
Capo d’Orlando, 31/10/2012
Dario Sirna