O CHIAVE DI DAVIDE …

QUARTA ANTIFONA “O”

Buongiorno a tutti,

anche oggi continuiamo a seguire il cammino intrapreso nell’attesa del Natale facendoci guidare dalle antifone “O”, ed in particolare dalla quarta antifona, di seguito riportata:

“O Chiave di Davide, scettro della casa di Isdraele, che apri,

e nessuno può chiudere, chiudi e nessuno può aprire:

vieni, libera l’uomo prigioniero che giace nelle tenebre e

nell’ombra della morte.”

Anche questa antifona trova la sua ispirazione in una figura dell’A.T., il Re Davide, e da essa trae lo spunto per l’invocazione di Cristo Salvatore. Perché il Re Davide? Lo abbiamo già visto nell’antifona di ieri, tramite il riferimento al padre Iesse che Davide è il più grande re della storia politica di Isdraele e che dalla sua discendenza, in base alle promesse divine, era atteso il Messia, restauratore del regno, della pace e della fede. Dunque ricollegarsi a tale re diventa fondamentale almeno per due motivi principali. Il primo è che Cristo, discendendo per genealogia dalla stirpe di Davide, appartiene alla casa regale di Isdraele e rispetta la promessa di Dio su tale discendenza del Messia. Questo collegamento è dunque indispensabile per confermare nella venuta del Messia atteso l’adempimento delle promesse di Dio e la totale assenza di contraddizioni in Gesù con le profezie attese. Ma nel caso in questione l’attenzione sul re Davide viene amplificata da un secondo motivo il cui significato è condensato nella parola “Chiave”. Possedere una chiave equivale a dichiarare il possesso se non addirittura la proprietà del bene custodito con essa. Davide aveva le chiavi del regno di Isdarele, in quanto, nonostante le sue umane debolezze, aveva unificato e compattato la nazione con la forza della sua fede in Dio. Tali chiavi le aveva ricevute da Dio, da cui, infatti era stato prescelto per l’unificazione del popolo eletto. Dunque il riferimento a Davide si ricollega al mandato conferitogli da Dio con l’unzione e la consacrazione e alla fede con cui Davide vive tale incarico. Il mandato della consacrazione manifesta la chiara volontà di Dio sulle opere affidate al Consacrato, la Chiave, invece, rappresenta la fede con cui il Consacrato si adopera per realizzare l’incarico ricevuto. La fede è la chiave che ci apre le porte di Dio, è grazie ad essa che la nostra speranza diventa realtà, ma è anche totale abbandono alla volontà divina non in segno di rassegnazione ad una sorte stabilita da un gioco del destino, ma in segno di totale rinuncia alla propria volontà in favore esclusivamente della volontà divina. Questo è l’esempio vero datoci dal re Davide nell’esplicazione della sua consacrazione e della sua regalità e questo è il senso con cui l’antifona di oggi ci presenta Cristo. Dunque regalità di Gesù, ma soprattutto unzione di Cristo alla volontà di Dio. La chiave della fede posseduta da Gesù viene utilizzata dal Salvatore per portare a pieno compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre. Cristo è dunque il Servo di Dio a cui è affidata la realizzazione del progetto divino sull’uomo, progetto che prevede la liberazione dell’uomo dalle catene della morte, dal vincolo del peccato, la sua restituzione alla vita eterna e alla comunione del Paradiso. Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, Egli solo possiede la chiave del regno che introduce alla vita eterna, chiave che Egli ha conquistato con il sacrificio della sua vita, offerta al Padre in totale obbedienza alla missione ricevuta e per amore dell’uomo. La sua alta responsabilità sul destino dell’uomo non delude le attese del Padre, ma le realizza in pieno, ricevendo in cambio il potere di liberare tutti gli uomini dalle catene della morte e dal potere delle tenebre. La nostra salvezza è dunque garantita e assicurata solo da Gesù, la cui consacrazione al progetto divino della nostra salvezza unitamente alla chiave della fede, ci apre le porte del Paradiso, allontanando per sempre da noi l’infernale carcere della morte eterna. Dunque, invocare Cristo con questa antifona significa anzitutto riconoscere a Lui il merito della nostra salvezza, avvenuto in virtù dell’incarico ricevuto con la sua consacrazione e della forza della sua fede, entrambi espressioni del suo immenso amore per noi. L’invocazione della venuta di Cristo nel mondo  è dunque invocazione innalzata a Dio perché Egli ci salvi.

Capo d’Orlando 20/12/2012

Dario Sirna

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