MARCO 10, 13-16
Buongiorno a tutti,
oggi i passi del nostro cammino continuano a seguire le tracce segnate dai seguenti versi del Vangelo di Marco:
“13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono.14Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.”
Subito dopo il problema sulla indissolubilità del matrimonio, presentatoci dalla Liturgia di ieri, il Vangelo ci pone un’altra questione, quella dei bambini. Matrimonio vuol dire famiglia e famiglia vuol dire bambini. L’atteggiamento dei discepoli nei confronti dei bambini mostra chiaramente l’esistenza a quei tempi di una problematica sociale rilevante avente come argomento la considerazione con cui venivano trattati i bambini. L’episodio è narrato per indicare l’atteggiamento fondamentale che bisogna tenere nei confronti di Dio. La nostra relazione con Lui deve indicare una fiducia totale in Lui, fiducia che va espressa attraverso l’abbandono alle sue cure. Un bambino si affida totalmente al genitore e ripone in Lui ogni sua forza, ogni sua speranza, ogni suo interesse. Un bambino non conta su se stesso, ma sull’amore del proprio genitore, un bambino sa reclamare tale amore, lo sa esortare, lo sa mantenere sempre attivo e presente. Questo vigore dei bambini e questa loro totale fiducia nei genitori è data a noi come esempio da imitare nella nostra relazione con Dio. Essere bambini nella fede significa essere maturi in essa, comprendere cioè che Dio è il nostro tutto, che il nostro bene è solo in Lui, che Lui solo è il nostro vero amore, che Dio è tutto il nostro universo e che in Lui l’universo intero è contenuto e offerto a noi. Ma, oltre a questa considerazione di carattere formativo, possiamo trarre dal Vangelo di oggi anche una seconda lettura dello stesso. Una lettura legata al valore della famiglia espresso nel Vangelo di ieri e alla funzione dei bambini all’interno della stessa. Il Vangelo ci invita a lasciare che i bambini vadano a Dio. Questa frase letta nel contesto della famiglia e del matrimonio rafforza il significato di questo sacramento e ne dà una lettura completa, mostrandoci come scopo del matrimonio e frutto di esso sono i bambini, i quali sono da Dio donati alla coppia perché l’uomo insieme a Dio si renda partecipe del progetto della creazione. In tale progetto l’uomo è una creatura di Dio che vive per realizzare una relazione con Dio. Ciò significa che i figli in realtà non sono dei genitori, ma di Cristo, di Dio. I genitori, sposi di Cristo attraverso il sacramento del matrimonio, devono permettere, favorire e agevolare il cammino dei propri figli verso Dio. Questo significa che i genitori devono educare i propri figli in virtù di tale cammino, essi devono trasmettere ai loro bambini l’amore per Cristo, devono alimentare tale amore e devono assecondare tutte le spinte con cui Cristo stesso sprona i bambini all’amore per Dio. I figli vengono concessi all’interno del matrimonio proprio per santificare tale sacramento e al contempo per dare ai bambini la via giusta per conoscere Dio, per apprezzarne il suo amore, per corrisponderlo e per viverlo in pieno. Questo concetto va esteso anche al significato della vita stessa, la quale non può essere intesa se non nella direzione della tutela dei piccoli. Cristo con queste parole del vangelo si fa custode della vita dei bambini indifesi, vista in tutti i sui vari stadi, a cominciare dallo stato del concepimento embrionale. Le parole del Signore con cui Egli ci invita a non impedire che i bambini vadano a Lui significano dunque massima tutela della vita dell’uomo, difesa della stessa nella condizione di debolezza vissuta dai bambini, difesa da ogni azione che vuole interrompere sia il cammino della crescita fisica, sia il cammino della crescita spirituale. Cristo allarga le braccia verso i bambini e, rivolgendosi agli adulti, li dichiara sua proprietà, bene contro il quale a noi adulti è impedito di fare alcuno sgarbo. Questa Parola del Vangelo, troppo dimenticata e poco attenzionata da noi adulti, ha il suo avvocato in Cristo ed è perciò degna di essere rispettata, accolta, meditata, approfondita e vissuta al pari di tutte le altre indicazioni dateci dal Signore per immetterci nella via dell’amore e della comunione di vita con Lui e con i fratelli.
Capo d’Orlando, 01/03/2014
Dario Sirna.