“IO VI DARO’ RISTORO”

MATTEO 11, 28-30

Buongiorno a tutti,

i passi di questo nuovo giorno seguono il cammino descritto dai seguenti versi del Vangelo di Matteo:

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».”

Questo bellissimo brano del Vangelo in poche righe ci insegna tantissime cose. Concentriamo la nostra attenzione sulla seguente frase: “imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. I temi di questa frase sono la mitezza e l’umiltà. Noi vogliamo soffermarci in particolare sull’umiltà. Dell’umiltà si sentono dire tantissime cose, e si hanno perciò idee piuttosto vaghe  e confuse. Approfittiamo di questo brano del Vangelo per cercare di approfondire l’argomento, definendolo, grazie all’aiuto di Cristo, una volta per tutte. Il Signore ci dice innanzi tutto che l’umiltà non è  innata nell’uomo ma che essa può essere acquisita da ognuno di noi imparandola da Cristo. Ciò Significa che l’umiltà è una virtù divina e non umana. Questo pensiero a prima vista potrebbe scandalizzarci, ma se ci fermiamo a meditare con attenzione comprendiamo che esso corrisponde alla realtà dei fatti. Cristo infatti era nella condizione divina, da questa condizione si è abbassato alla condizione terrena assumendo la natura umana. Questo abbassamento è il vero significato della parola umiltà. Quando il Signore si definisce umile e ci invita a imitarlo in questa virtù Egli si riferisce proprio a questo particolare esempio di umiltà. Noi invece abusando usiamo tale termine per indicare quel nostro atteggiamento con il quale siamo disposti a riconoscere di fronte a tutti, di fronte a noi stessi e di fronte a Dio la nostra piccolezza, i nostri limiti, i nostri errori, i nostri peccati, i nostri sbagli, la nostra inferiorità. Questa non è vera umiltà perché l’abbassamento che si suppone realizzare con tale atteggiamento non è un vero abbassamento, ma è piuttosto il riconoscersi per quello che si è davvero. Ammettere a se stessi, agli altri e a Dio che non siamo come ci mostriamo, ma che la nostra perfezione è finzione non è umiltà ma un semplice atto di onestà. La differenza tra le due cose è notevole e ce la insegna proprio Gesù. Dall’esempio di Gesù impariamo che l’umiltà consiste nell’abbassarsi da una condizione superiore a una condizione inferiore, senza guadagnarci nulla, senza speculare, ma per una semplice obbedienza alle esigenze del cuore. Cristo si definisce mite e umile di cuore, intendendo precisare con questa affermazione che l’umiltà e la mitezza sono ragioni tipiche dell’amore. Amare senza essere miti, amare senza essere umili è praticamente impossibile e irrealizzabile. La mitezza e l’umiltà sono due condizioni senza le quali l’amore non può essere vissuto. Solo chi ama veramente e chi lo fa imitando Cristo può capire cosa significa essere umili. L’amore spinge la persona a donarsi completamente all’altro senza limiti e cercando solo ed esclusivamente il suo interesse e il suo bene. Questa condizione è la via che prelude all’umiltà. L’umiltà è una condizione che può essere vissuta solo se si è innamorati come Cristo. Noi siamo chiamati all’umiltà, ma certamente tale umiltà non si realizza nella relazione con Dio. In tal caso infatti il nostro amore ci innalza ad una condizione superiore, esso ci trasferisce dalla condizione servile alla condizione libera, dalla schiavitù alla libertà, dalla condizione di creature a quella di eredi e figli, da peccatori a redenti. Nella relazione con i nostri fratelli abbiamo invece la possibilità di esercitare tale virtù e di crescere nell’amore attraverso il perdono. Nella relazione con i nostri fratelli non c’è infatti disparità di condizione, tutti siamo uguali in quanto tutti dotati per volontà e bontà divina della stessa identica dignità. In questo caso l’unico abbassamento cui siamo eventualmente sottoposti nella relazione con i fratelli è quello del perdono per l’offesa ricevuta da loro. Quando veniamo umiliati da altre persone con la mancanza di rispetto per la dignità conferitaci da Dio, quando cioè diveniamo vittime del peccato altrui, in tal caso l’amore per la persona che ci umilia ci spinge a perdonare il male ricevuto e a rimuovere dal nostro cuore la differenza reale esistente tra noi e l’altra persona, differenza generata dal peccato con cui siamo stati offesi. In questo caso il perdono offerto con tutto l’amore del cuore diventa un atto di umiltà in quanto offre amicizia e amore a chi per colpa sua versa in uno stato inferiore al nostro a causa della degenerazione avviata dal peccato. Se, invece, la persona che ci ha offeso  si pente e si mostra disponile a chiederci scusa, essa, compiendo questo atto,  non si umilia, ma riconosce la verità e compie semmai un atto di onestà nel confessare la sua colpa. L’umiltà dunque è una virtù nobile, una virtù che appartiene solo all’amore perfetto, una virtù che se esercitata esalta l’uomo, perché l’amore non è mai denigrante ma sempre gratificante.

Capo d’Orlando, 17/07/2014

Dario Sirna.

 

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