GIOVANNI 10, 27*30
Buongiorno a tutti,
continuiamo a muovere i nostri passi sulle tracce segnate dal Vangelo di Giovanni, rifacendoci ai seguenti versi :
“27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».”
Quando abbiamo un malessere fisico e non riusciamo a risolverlo da soli siamo costretti a rivolgerci al nostro medico e perché questi possa capire di cosa abbiamo bisogno dobbiamo fornirgli tutte le informazioni necessarie per aiutarlo a redigere una diagnosi precisa e giusta. In questo nostro modo di fare sappiamo che dobbiamo spogliarci di tutte quelle inibizioni, paure e chiusure che impedirebbero al nostro medico di riconoscere il nostro male. Questo atteggiamento non solo permette al medico di capirci ma permette anche a noi di prendere coscienza di ciò che ci sta accadendo. Se il medico in questione è Cristo e il male di cui soffriamo è un male interiore, rivolgendoci a Lui speriamo di essere sanati con analoga efficacia. In tal caso esistono però delle differenze e delle precisazioni molto importanti. Cristo conosce il male presente nella nostra vita ed è disposto a debellarlo definitivamente e gratuitamente, senza nulla pretendere e per la semplice motivazione che ci ama e vuole a tutti i costi il nostro bene e la nostra felicità. Il punto è che per ottenere tale guarigione dobbiamo fare dei passi molti importanti. Precisato che il Signore, contrariamente al nostro medico, sa di cosa abbiamo bisogno senza che noi esponiamo i sintomi del nostro malessere, è necessario che noi da una parte riconosciamo al Signore il potere di guarirci e dall’altra riconosciamo davanti alla nostra coscienza e a Dio l’esistenza nella nostra vita di un male che ci affligge. Il Pastore che cura le anime ha bisogno che queste abbiano piena fiducia in Lui, che credano nel suo amore per loro, che riconoscano la sua Signoria e la sua Divinità, che accettino la sua funzione redentiva, che lo accolgano come loro Salvatore, che cerchino la sua protezione. Allo stesso tempo è necessario che le pecore rivolgendosi al Pastore siano sincere con se stesse e con Lui, mettano cioè a nudo il loro io, si mostrino per quello che sono, siano desiderose di essere guarite dalle malattie che le affliggono. In questo brano del Vangelo Cristo, Buon Pastore, ci propone una relazione basata su questi principi. Una relazione intima, ove l’intimità è una condizione puramente interiore che coincide con la spogliazione di tutte quelle maschere e di tutte quelle false verità con cui per vergogna e per orgoglio nascondiamo a noi stessi e a Dio i nostri problemi, le nostre magagne, le nostre debolezze, i nostri limiti, e tutto ciò che ci fa essere imperfetti, peccatori, operatori di male, servi del maligno, vendicatori, incapaci di perdono, ostili all’amore. Cristo ci chiede una relazione vera, una relazione così intima che solo a pensarci dovremmo commuoverci, dovremmo riempirci di amore per Lui e mettere tutto quanto ci riguarda nelle sue mani, sapendo che Egli non è venuto per giudicarci, né per dirci bravi, ma solo ed esclusivamente per prendersi cura di noi con un amore indescrivibile, dolce, comprensivo e salutare. Non aspettiamoci complimenti e lodi dal Signore, siamo noi quelli che li dobbiamo fare a Lui, e così facendo non riceveremo neanche giudizi negativi, ma mettiamo tutta la nostra vita nelle sua mani con una fiducia senza limiti e certi che Egli farà l’impossibile per aiutarci a superare ogni nostro problema con Lui, con noi stessi e con il mondo. Mettersi nelle mani del Buon Pastore significa riconoscere Lui come nostra unica speranza di salvezza e riconoscere noi stessi bisognosi del suo aiuto. Questi due passi sono fondamentali perché si realizzi la condizione della nostra salvezza. Il Signore dal canto suo ci assicura che nulla e nessuno può strapparci dal possesso delle sue mani. Ma se non siamo sinceri fino in fondo con noi stessi e con Lui, se non riconosciamo di fronte a Dio tutti i nostri limiti, il Signore non può aiutarci, pur desiderandolo più di noi stessi e la nostra vita scivolerà via dalle sue mani senza che Egli riesca ad afferrala e a bloccarla. Per compiere questi passi occorre ascoltare la voce di Cristo, credere in essa, esaminarsi, conoscersi, presentarsi a Lui bisognosi del suo amore salvifico, del suo amore curativo, del sollievo della sua consolazione, dell’appagamento prodotto dalla comunione piena col suo cuore. Questi benefici diventano per l’anima un cibo irrinunciabile che la conduce a seguire il Signore in ogni circostanza e in ogni attimo della vita, a non allontanarsi mai da Lui, a fare riferimento solo a Lui, a tornare sempre da Lui, a sentirsi sua appartenenza e sua proprietà, a non potere più fare a meno di Lui e del suo amore. Si realizza così tra l’anima e il Pastore una comunione di vita piena in cui ognuno si sente parte dell’altro, dall’amore unito all’altro come un’unica e indivisa realtà.
Capo d’Orlando, 21/04/2013
Dario Sirna.