APOCALISSE 11, 17-18; 12, 10b-12a
Buongiorno a tutti,
oggi il nostro cammino di fede è illuminato dalla gloriosa luce dei Santi Martiri. La Parola di Dio che ci indirizza in tale via è tratta dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni:
Noi ti rendiamo grazie,
Signore Dio onnipotente, *
che sei e che eri,
perché hai messo mano
alla tua grande potenza, *
e hai instaurato il tuo regno.
Le genti fremettero, †
ma è giunta l’ora della tua ira, *
il tempo di giudicare i morti,
di dare la ricompensa ai tuoi servi, †
ai profeti e ai santi *
e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi,
Ora si è compiuta la salvezza,
la forza e il regno del nostro Dio *
e la potenza del suo Cristo,
poiché è stato precipitato l’Accusatore; †
colui che accusava i nostri fratelli, *
davanti al nostro Dio giorno e notte.
Essi lo hanno vinto per il sangue dell’Agnello †
e la testimonianza del loro martirio; *
perché hanno disprezzato la vita fino a morire.
Esultate, dunque, o cieli, *
rallegratevi e gioite
voi che abitate in essi.
In 24 marzo è dedicato alla memoria dei Missionari Martiri. Di seguito riportiamo i nomi dei missionari che hanno dato la loro vita per il servizio al Vangelo:
- Don David Donis Barrera;
- Don Denaro Avina Garcia;
- Suor Liliale Mapalayi;
- Don Anastasius Nsherenguzi;
- Don Luigi Plebani;
- P. Valentim Eduardo Camale;
- Don Pablo Emilio Sanchez Albarracin;
- Padre Elie Gergi al-Makdessi;
- Teodoro Mariscal Rivas;
- P. Bruno Raharison;
- Conchita Francisco;
- D.Eduardo Teixeira;
In onore del martirio di questi dodici fratelli e in rappresentanza di tutti loro, riportiamo qualche breve notizia sulla vita di Concchita Francisco.
“Conchita Francisco era una laica cattolica, operatrice pastorale, vedova e madre di due figli. E’ stata uccisa a colpi di arma da fuoco da uomini non identificati davanti alla cattedrale cattolica di Bongao, nella provincia filippina di Tawi-Tawi, nel Sud dell’arcipelago, il 13 novembre 2012. La donna era appena uscita dalla chiesa, dove ogni giorno aveva guidato la recita del Rosario e aveva partecipato alla Santa Messa. Era un pilastro nelle attività pastorali della piccola Chiesa locale. Dieci anni fa anche suo marito era stato ucciso.” (Missio)
La parola martirio deriva dal greco μάρτυς e significa testimoniare. Nel caso delle fede cattolica il martire dà una delle testimonianze di fede più eloquenti e più grandi. Ma in cosa consiste tale testimonianza e che cosa viene testimoniato? Il cristiano è chiamato a convertire la propria vita conformandola a quella di Cristo, ossia indirizzandola totalmente all’amore pieno. “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per gli amici”, queste parole di Gesù ci insegnano il significato della parola amore, ci danno una misura di tale ricchezza e soprattutto racchiudono il senso della nostra vita. Credere nell’amore e vivere l’amore diventa allora un assoluto possibile seguendo questo insegnamento di Cristo e imitando il Signore nell’esempio che Egli ci ha dato con la sua stessa testimonianza d’amore. Amare significa dunque morire? No, certamente no, dare la vita non significa necessariamente morire, ma tutt’altra cosa. Certo può accadere come nel caso dei martiri che l’atto di amare comporti anche il sacrificio della vita, ma non necessariamente deve esprimersi con la morte. Amare fino in fondo, credere nell’amore senza esitazione, comporta anche la possibilità di dovere affrontare la morte, ma rimane una possibilità che può verificarsi, non è una regola. Questo significa che il martire non offre volontariamente la propria vita per dimostrare niente a nessuno. Egli non deve dimostrare a Dio che lo ama, né lo deve dimostrare a se stesso, né lo deve dimostrare agli altri. E’ il cuore innamorato che osa affrontare ogni avversità pur di riuscire ad esprimere se stesso, pur di riuscire a dare. L’amore è la forza più grande e indomabile dell’uomo. Esso mette l’io dell’uomo all’ultimo posto e a tutto antepone Dio e il prossimo. Quando questo amore cresce e si fortifica esso comincia a pressare sulle pareti interne del nostro cuore esattamente come pressa il vino in un otre, più l’otre viene riempito più cresce la pressione sulle sue pareti, fino a quando questa diventa talmente forte da far esplodere l’otre. Allo stesso modo l’amore immesso da Dio nei cuori che a Lui si aprono senza limite alcuno è talmente grande da causare l’esplosione della vita di chi lo riceve. Ogni uomo che vive tale condizione diventa allora una sorgente che effonde il suo prezioso amore verso tutti indistintamente, senza negarsi a nessuno, perché tutti possano gustare attraverso essa la dolcezza di Dio. In questo orizzonte la vita raggiunge il suo significato vero e Dio compie in noi il nostro destino di creature amate innestandoci direttamente su se stesso e facendoci figli che portano l’immagine del Padre. Tale immagine non si manifesta in un volto, o nell’aspetto, ma esclusivamente nella donazione infinita e illimitata dell’amore. Essere cristiani significa essere figli di Dio e essere figli di Dio significa essere esattamente come l’Unigenito. Qual è il ricordo più vivo che abbiamo di Cristo? Quello del suo Volto o quello della sua croce? Sicuramente per quanto il volto umano del Signore possa sedurre il nostro cuore, esso non riesce a conquistarlo come la croce, “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”. Nel Martirio di Cristo c’è la testimonianza più grande dell’amore di Dio per l’uomo, una testimonianza insuperabile, una testimonianza che sconvolge il cuore dell’uomo e lo piega su quello di Dio, costringendolo a guardare il volto pietoso di Chi elemosina l’amore. Non è poesia, non è incanto dei sensi, ma realtà di un amore che si esprime con fatti e che ci guadagna un bene da noi irraggiungibile. L’amore di Dio si manifesta proprio nella volontà di mettere l’uomo in comunione di vita con Lui, nella volontà di elevare l’uomo alla dignità di figli, e ciò avviene appunto con il sacrificio salvifico di Cristo. Un fatto storico che ci apre le porte del Paradiso e della vita eterna. Ma chi riceve tale dono e la consapevolezza di esso viene a sua volta divorato dall’amore e si mette a suo servizio, per trasmettere a tutti coloro che non hanno ancora ricevuto la “Buona Novella” l’esaltante notizia della salvezza. Il fedele che riceve tale grazia vive nella gioia di potere gustare fino in fondo l’amore di Dio e indirizza tutta la sua vita nel servizio ai fratelli, ossia nel tentativo di “cedere” la sua gioia e lo stato di grazia ricevuto a tutti coloro che ne sono privi. Come per Gesù, anche per loro la volontà del Padre diventa priorità su tutto. Se scendere dalla croce significa opporsi a tale volontà, se scendere dalla croce significa smentire l’amore, se scendere dalla croce significa negare la propria testimonianza e rinnegare Dio e il suo Dono, il cristiano non ha ancora maturato il senso della sua fede. Quando invece l’amore è maturo esso non può rinnegare se stesso e di fronte a qualsiasi difficoltà continua ad amare per un’esigenza incontenibile del cuore, esigenza che deriva dalla necessità interiore di stare continuamente con Dio e di non venire mai meno al suo amore. In tal caso chi può fermare amore? Forse la morte? Nessuno può fermare un amore che preferisce patire qualsiasi sofferenza pur di non tradire. E se al cuore non si comanda, come può essere costretto il cuore di un fedele innamorato a smettere di amare, a offendere il suo amore, a tradirlo e a negarlo?
Capo d’Orlando, 24/03/2013
Dario Sirna.
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