FESTA DEI TRE SANTI – LA PROCESSIONE DEL VENTISEI SERA
Il 26 agosto di ogni anno nella comunità religiosa di Galati Mamertino si celebra la Festa dei “Tre Santi”. L’evento religioso richiama tantissima gente anche dai paesi vicini, è molto sentito dalla popolazione locale ed è atteso ogni estate con grande gioia. La partecipazione alla festa vede i fedeli impegnati nei giorni 23, 24, 25 e 26 agosto. I santi venerati e omaggiati sono San Rocco, San Giacomo Apostolo e il SS. Crocifisso. |
Ad aprire la festa è San Rocco la cui memoria liturgica qui viene celebrata il 24 agosto. In tale occasione il simulacro del Santo, solitamente ospitato nella Chiesa del Rosario, viene trasferito in processione nella Chiesa Madre, intitolata a Santa Maria Assunta, ove è custodita la statua di San Giacomo Apostolo, protettore del paese. Terminati i festeggiamenti in onore di San Rocco il venticinque agosto hanno inizio le celebrazioni per la Festa dei “Tre Santi”, festa che culmina il ventisei con due solenni processioni che tengono impegnati i fedeli sia di mattina che di sera. L’anno scorso noi abbiamo documentato, con relativo articolo disponibile all’indirizzo: https://camminoin.it/2012/08/25/festa-dei-tre-santi-processione-del-25-agosto/, la processione del venticinque sera, quando al termine della messa vespertina il sacerdote, insieme ai fedeli, accompagnato dalle vare di San Rocco e di San Giacomo si reca nella Chiesa di Santa Caterina per omaggiare il Santissimo Crocifisso. La processione ha lo scopo di unire i tre simulacri e di condurli insieme nella Chiesa Madre, ove il giorno seguente viene dedicato loro il culto con solenni celebrazioni e processioni. In breve, i simulacri di questi tre santi, ospitati in tre chiese diverse, attraverso un lungo giro di processioni vengono riuniti nella Chiesa centrale con lo scopo di glorificare, lodare e ringraziare Dio per il dono della loro santità fatto all’intera umanità. La festa ha il sapore della comunione dei Santi in Paradiso e per questo motivo la gioia che ne deriva dalla sua celebrazione è talmente grande da avvolgere tutto il paese. Anche quest’anno ci siamo recati sul posto per unirci ai solenni festeggiamenti, ma invece di partecipare alla processione del venticinque, già documentata l’anno precedente, abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla processione del ventisei sera. Quest’ultima è una processione di chiusura, essa infatti consiste nel riportare i simulacri del Santissimo Crocifisso e di San Rocco nelle rispettive chiese di appartenenza. Nonostante questo aspetto malinconico, la processione è fortemente partecipata e rappresenta uno dei momenti più importanti di tutto il periodo religioso. La sera del ventisei le statue dei tre santi, alla fine della celebrazione Eucaristica delle 18,00 vengono perciò nuovamente caricate sulle spalle dei devotissimi portatori per essere condotte in processione. Il giro seguito dal corteo ripercorre il tragitto che collega la chiesa Madre con la chiesa di Santa Caterina, ove si assiste all’emozionante rientro del Santissimo Crocifisso nella sua sede di appartenenza, e poi prosegue per le vie interne del centro storico fino a raggiungere la chiesa del Rosario. Qui la processione si ferma nuovamente per farci vivere un altro momento di grande emozione. Le statua di San Rocco torna nella sua chiesa per essere collocata nella sua abituale dimora mentre la Statua di San Giacomo, dopo una toccante sosta di commiato, riprende da sola il suo cammino in direzione della chiesa Madre per il rientro definitivo. Questa processione con il suo articolato percorso ricco di segni e di messaggi ci suggerisce un cammino interiore molto interessante. Innanzitutto l’attenzione posta al Santissimo Crocifisso emerge durante i giorni di festa su tutti gli eventi conferendo al clima religioso un gusto intenso e speciale. Il simulacro che rappresenta l’immagine di Gesù crocifisso al di là della sua perfezione e bellezza artistica ci riconduce direttamente all’essenza della nostra fede, alle sue radici, al senso della vita, al giorno della nostra creazione, all’evento della nostra salvezza, al nostro rapporto con Dio, al significato del dolore e della morte, alla nostra relazione con il mondo e con il Paradiso, alla vocazione dell’amore. Cristo appeso al grande albero della croce, pieno di lividi, colmo di ferite, sanguinate da tutte le membra, sfigurato nel volto, torturato in tutto il corpo, squarciato nel costato, inchiodato nelle mani e nei piedi è senza dubbio un segno che sconvolge tutta l’umanità. In Lui, Agnello innocente, il sacrificio della vita soddisfa l’espiazione di tutti i peccati del mondo. La bellezza fisica del suo corpo sofferente e sanguinante è prodigiosamente illuminata dall’incontenibile bellezza dell’amore. Un amore che ci racconta la storia di un Dio immensamente buono e immensamente bello, pronto a dare la sua vita nella vita del Figlio per salvare tutte le creature umane dalla terribile realtà della separazione eterna generata dal loro peccato. Questo Dio ci dice che siamo stati creati per una vita di comunione con Lui, per una vita fatta di gioia eterna, per una vita da trascorrere insieme ai nostri fratelli alla continua presenza del Signore, per una vita appagata dalla soddisfazione dell’adorazione divina, per una vita contemplativa nutrita dalla gloria del Paradiso, per una vita del tutto identica a quella condotta da Dio, per una vita che altro non è che la piena partecipazione all’uomo della beatitudine della condizione Celeste. Tutte realtà rappresentano lo scopo del nostro esistere secondo una volontà superiore alla nostra, la volontà di Dio. Nella volontà divina questi beni di inestimabile valore sono per il Signore più che promesse fatte all’uomo e a se stesso per il nostro avvenire, esse sono infatti un’esigenza primaria alla quale Dio stesso non riesce a rinunciare. Tale esigenza nasce dall’amore presente in Dio. Noi siamo frutto dell’amore di Dio, esistiamo, cioè, solo ed esclusivamente perché Dio ci ama di un amore immenso, incontenibile e incalcolabile. Da questo amore ne consegue che Dio è costantemente proiettato sull’uomo per evitare che questi si perda, per evitare che Egli perda una sola delle sue creature, per evitare che Egli perda in ciascuno di noi una speciale possibilità di vivere e realizzare l’amore eterno. Da questo grande amore, inconcepibile per noi uomini, nasce in Dio l’esigenza della salvezza umana a tutti i costi. Sofferenza, dolore e morte, apparentemente realtà inutili e inconcepibili, apparentemente realtà che schiacciano l’uomo e lo condanno, apparentemente realtà che colpiscono l’uomo prendendolo di mira per annientarlo, improvvisamente, nell’immenso amore del Padre, ci rivelano un senso del tutto nuovo. E’ il Figlio, l’Uomo Dio, da noi oggi venerato e omaggiato nell’atto oblativo della sua vita, che ci svela il mistero di queste realtà a noi così vicine e per noi così ostili. In Cristo crocifisso possiamo liberamente affermare, infatti, che il dolore e la morte esistono non per essere riversate su di noi in forma di castigo e per il gusto della cattiveria, ma per essere riversate solo ed esclusivamente sul corpo umano del Figlio. Tutto ciò ha un senso e questo senso ancora una volta si chiama amore. E’ in funzione della nostra salvezza eterna, unico luogo in cui l’uomo può vivere il suo destino di creatura in comunione con Dio, che il dolore e la morte sono presenti nella condizione umana. Sofferenza e morte, introdotte dall’uomo stesso nella sua vita tramite il peccato, si riversano su tutta l’umanità per la nostra debolezza e per la nostra miseria, ma Dio, che ci ama oltre ogni limite e che per noi è più che Padre, usa se stesso, tramite il Figlio, come scudo su cui far ricadere i colpi letali delle conseguenze del peccato, salvandoci dai loro terribili pericoli. Il Crocifisso è questo scudo provvidenziale innalzato da Dio stesso per la nostra difesa con l’unica ed eccitante motivazione della nostra salvezza. Come non adorare il Cristo Crocifisso? Come non sciogliersi di fronte al suo sguardo pietoso che elemosina amore all’uomo? Come non misurare nel Corpo inchiodato sul legno della croce la crudeltà della condizione umana con la bontà dell’amore divino? Che abisso! Che contraddizione! Che voragine immensa viene colmata per noi dal Figlio di Dio sull’albero della croce! Tutto il dolore del mondo viene caricato sulle spalle del nostro Redentore e Questi, con obbedienza perfetta al Padre e con amore immenso per noi, costantemente lo porta senza mai alzare un grido di lamento. Di fronte al segno della croce e di fronte al martirio del Figlio il silenzio del Cielo avvolge tutta la terra, la impregna di amore divino e la solleva sulle ridenti vette del Paradiso. La croce portata da Cristo e la realtà successiva della sua risurrezione diventano così per l’uomo la certezza che Dio esiste, che Dio vive in mezzo a noi, che Dio ci ama, che Dio non si è dimenticato di noi, che Dio ci ha preparato un posto sicuro in Paradiso, le cui porte sono state riaperte per noi in eterno dall’amore testimoniato da Cristo sule legno della croce. Tutto questo e molto più ci viene suggerito dall’immagine del figlio dell’Uomo inchiodato sulla Croce, un linguaggio irresistibile al cui dominio nessuno riesce a sottrarsi. Non c’è per l’uomo altro modo per essere attratto da Dio, per essere da Dio sedotto, per essere da Dio conquistato e salvato per sempre. Le figure di San Rocco e di San Giacomo apostolo ci comunicano invece qualcosa di diverso. Esse sono figura di una Chiesa che nasce su un mandato divino e che si diffonde nel mondo per annunciare la via della salvezza aperta da Dio in Cristo Gesù crocifisso e risorto. Due uomini che hanno creduto nell’amore riversato da Dio continuamente nel mondo attraverso il Cristo Crocifisso, due uomini che si sono fatti testimoni di tale amore e della realtà della risurrezione al punto da dedicare a questi beni tutta la loro vita. A chi non crede o a chi ha dubbi nel credere, ricordiamo a titolo di esempio che la prontezza con cui San Giacomo apostolo si mette al servizio di del Vangelo per annunciare il dono della risurrezione è una prontezza che non può trovare giustificazione se non nella verità di tale realtà. Non è possibile, infatti, che gli Apostoli, fuggiti di fronte alla crocifissione del loro Maestro, dopo la sua morte, in sua assenza possano aver trovato in se stessi il coraggio e la motivazione necessari per dare tale testimonianza senza temere di perdere la vita. Ecco perché la Chiesa fondata su Cristo allarga le sue membra tramite i santi e ci consegna in essi il dono della fede. Ecco perché nella festa dei tre santi abbiamo la possibilità di immergerci nella contemplazione di quelle indescrivibili bellezze della Chiesa che si chiamano salvezza, carità e unità.
Capo d’Orlando, 27/08/2013
Dario Sirna.
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