SAN MARCO D’ALUNZIO – FIUME PLATANI – II TRATTO
Siamo ritornati a San Marco per completare l’escursione nel Fiume Platani. Nei reportage precedenti abbiamo documentato il fiume nel suo tratto iniziale, quello scaturente dalle sorgenti , e nel suo tratto finale, quello che attraversa il bellissimo canyon di Serro Coniglio, oggi esploreremo il tratto intermedio, ossia quello compreso tra i due tratti sopra citati. |
Per giungere sul posto abbiamo sfruttato il collegamento rotabile tra Caprileone e San Marco D’Alunzio, fermandoci proprio sul ponticello costruito sul Platani, nel fondovalle che scende dal Serro Coniglio. Da questo punto di partenza ci siamo mossi a piedi risalendo il fiume. Il cammino non è semplice per la presenza di una macchia intricata e di una vegetazione arbustiva selvaggia. Agli ostacoli dovuti alla vegetazione si aggiungono pesantemente tutti gli ostacoli creati da un greto occupato da grossi macigni, che si impongono con le loro lisce e scivolose pareti realizzando delle vere e proprie barriere alte e invalicabili. I tratti di fiume percorribili senza fastidiose difficoltà sono veramente rari o quasi assenti. In atto l’alveo del torrente e asciutto per buona parte del suo percorso e ciò facilita la risalita del fiume, ma penalizza fortemente la bellezza e il fascino del posto. Dalla disposizione delle rocce e dai segni lasciati sulle stesse dal flusso dell’acqua è evidente che molti passaggi in presenza di acqua sono più difficili, anche se, sicuramente, più suggestivi e meritevoli di una attenzione diversa. Questa considerazione è supportata da dati reali riscontrati nei tratti di fiume ove miracolosamente l’acqua riaffiora dal greto per poi inabissarsi di nuovo più a valle. Qui il fiume diventa veramente affascinante e anche se le acque non sono sufficienti per creare effetti stupefacenti lasciano immaginare bene le meraviglie che nel periodo invernale è possibile ammirare in questi luoghi. Altro elemento che ha dato parecchio fastidio alla buona riuscita dell’escursione è stata l’ombra tenebrosa e fitta generata dalla impenetrabile volta verde del bosco. Anche nelle ore di maggiore insolazione sorprendentemente non è stato possibile scattare le foto a mano libera e, essendo sforniti di apposito cavalletto, ci siamo dovuti accontentare dell’appoggio stabile delle rocce per bloccare la macchina fotografia su una superficie immobile. Ciò ovviamente ha fortemente penalizzato l’uso del nostro strumento di documentazione, limitandoci fortemente sia nello sfruttamento di tutte le capacità di scatto della macchina, sia nello sfruttamento delle nostre modeste capacità creative, strettamente connesse all’inquadratura dei soggetti da immortalare. Non essendo liberi di scattare in qualsiasi posizione, non abbiamo potuto effettuare una documentazione completa e conforme agli stimoli suscitati in noi dall’ambiente visitato. Torneremo comunque sul posto nel periodo invernale, quando l’acqua nel fiume sarà abbondante e soprattutto la volta del bosco si sarà spogliata della ombrosa veste estiva per indossare la nuda veste invernale, congeniale al passaggio dei raggi solari e all’incremento della luce in corrispondenza delle zone di scatto. Senza la luce diretta e o in presenza di una luce diffusa molto coprente i colori, le forme, la fisionomia e la bellezza dell’ambiente si appiattiscono, generando effetti poco realistici e, quindi, inadatti a produrre una documentazione fedele alla effettiva bellezza dei luoghi. Lungo questo tratto di fiume abbiamo riscontrato essenzialmente la presenza di tre zone molto interessanti. La prima incontrata è stata già ampiamente documentata nel reportage “San Marco D’Alunzio – Rocce”, le altre due sono invece oggetto della presente documentazione. Si tratta di due zone differenti nella conformazione ma simili nella tipologia naturale. Nella prima di queste due zone ci ritroviamo in presenza di acqua, tanto da riscontrare l’esistenza di una cascatella, con un salto di circa tre metri. Il piano superiore della cascata è ancora più interessante per la sua particolare conformazione. Tutta la zona è comunque nuovamente racchiusa all’interno di una gola rocciosa e ampiamente boscata. Le rocce delle pareti verticali della gola sono scure e apparentemente sembra siano costituite da arenaria dura e stratificata. La cascata in questione si immette nel fiume lateralmente al greto dandoci l’impressione di trovarci in presenza di un affluente laterale, ma la conoscenza esterna del territorio ci insospettisce molto sulla validità di questa ipotesi, cosicché è più semplice pensare ad un giro strano compiuto dal fiume, come se lo stesso di dividesse in due rami a causa di qualche ostacolo importante e poi tornasse a riunificarsi a valle. Questa seconda ipotesi viene piacevolmente confermata quando, superato il salto della cascata, ci portiamo al suo piano superiore. Come avevamo ipotizzato qui scopriamo che a causa di una gola scavata dalle acque sulla sponda di San Marco, il torrente lascia il suo corso principale, che quindi rimane asciutto, per immettersi nel piccolo canyon generato da due grandissime rocce sul bordo ovest. Da qui, poi, dopo un breve ma tortuoso tragitto si butta dal salto di tre metri per confluire nuovamente nell’asse principale del Platani. Il canyon è breve, molto interessante e suggestivo, ma difficilmente fotografabile in quanto completamente ombreggiato da una fitta copertura di verde formata dalle fronte più basse di un denso bosco di leccio, arrampicato sul costone laterale. Proseguendo oltre, la gola si mantiene interessante per un lungo tratto, poi improvvisamente diventa impercorribile a causa della intricatissima vegetazione formata da rovi e arbusti vari. Dobbiamo necessariamente lasciare il greto per proseguire su un sentiero laterale, inspiegabilmente e misteriosamente calpestato. Evitiamo così di attraversare una zona che altrimenti per la sua inaccessibilità ci avrebbe costretti a tornare indietro. Non sappiamo cosa si nasconde in questo tratto di fiume, ma ci rendiamo conto che la vegetazione potrebbe oscurarci la presenza di un altro tratto interessante. Questa nostra convinzione è sostenuta dalla considerazione che il tratto superato copre un forte dislivello in salita in un breve spazio e che quando raggiungiamo nuovamente il greto, a valle, in mezzo alle macchie, emergono enormi costoni rocciosi, che potrebbero nascondere altri elementi di grande pregio. Le difficoltà per ridiscendere il tratto bypassato vista l’ora tarda sono troppo alte e ci scoraggiano, facendoci decidere di continuare in salita. Dopo poche decine di metri il fiume torna a riemergere dalle macchie mostrando una inaspettata e sorprendente bellezza. Siamo in una nuova gola, questa volta molto ampia e alta, con pareti laterali verticali di straordinaria bellezza. Il letto del fiume diventa ripido e pieno di enormi macigni grigi, rotolati uno sull’altro. L’acqua scompare nuovamente, ma lascia nei passaggi invernali importanti e profondi solchi scavati sulle rocce, che ci fanno immaginare senza tante difficoltà la spettacolarità di questo insieme di piccole cascate e di giochi d’acqua nei periodi di piena del fiume. Il posto è selvaggio, affascinate, di una bellezza unica e rara, simile a pericolose rapide, di grande effetto. La zona più interessante è lunga oltre un centinaio di metri e unisce alla bellezza dell’ambiente proprio del fiume lo spettacolo di uno scenario panoramico inconsueto che si allunga, dall’alto verso il basso, su tutta l’intera vallata, fino a fermarsi sul Serro Coniglio. Raggiunta questa posizione dominante il fiume riprende in mezzo alla gola un andamento orizzontale e regolare, che finisce di incutere paura per trasmettere tranquillità. Ci fermiamo proprio in questa suggestiva posizione e approfittando della secca del fiume, guadagniamo la cima della roccia più esposta per goderci, nella inusuale quiete di una rapida asciutta, la contemplazione di una natura dal volto forte e minaccioso, ma attualmente del tutto inoffensiva. La nostra mente vola subito al Creatore per ringraziarlo di tante forti emozioni e per lodarlo per questo meraviglioso giorno, trascorso in mezzo ad una natura sconosciuta e gelosamente custodita.
Capo d’Orlando, 01/10/2012
Dario Sirna