ETNA – LA SCALATA DEL CONO DI NORD EST

ETNA – CAMMINANDO SUL BORDO DEL CRATERE

Nel reportage di oggi vi mostriamo la seconda parte del cammino compiuto per raggiungere la bocca subterminale di Nord Est. Il racconto ha inizio dalla postazione de I Due Pizzi, ove aveva avuto termine la descrizione del precedente reportage. Siamo a 2.500 metri di altezza e la quota da raggiungere si trova a 3.330 m. Il campo ottico è notevolmente allargato a causa della posizione dominante raggiunta per cui le dimensioni del cono vulcanico e le distanze da coprire sembrano piccole nello spazio infinito che si apre sul nostro orizzonte. Ciò ci spinge a sottovalutare il cammino rimasto e a darci l’impressione continua di essere prossimi all’arrivo.

Questo  effetto, già sperimentato nelle precedenti esperienze è ingannevole in quanto spinge l’escursionista a scegliere il percorso diretto conducendolo nella zona più pericolosa, più difficoltosa e più faticosa del cono di Nord Est. Per evitare di spingerci in questa direzione abbiamo deviato il nostro tragitto verso ponente orientandolo nella  direzione del cratere centrale. Con questo stratagemma abbiamo ridotto notevolmente le pendenze ed evitato di passare nella zona più rischiosa e più faticosa della scalata, anche se abbiamo allungato la strada compiuta.  A metà percorso abbiamo rettificato la direzione conducendola nuovamente verso la punta del cratere di Nord Est. Il cammino così effettuato è risultato più agevole, meno insidioso e meno stancante. Nella prima parte abbiamo attraversato una grande distesa innevata avente le sembianze di un altipiano. Una zona caratterizzata principalmente dalla figura dominante della vetta vulcanica  e dallo spazio infinito del paesaggio. Qui le lunghezze da coprire schiacciano le altezze e danno la falsa impressione di trovarci su un piano. Solo la notevole  fatica del cammino ci fa capire che stiamo salendo e che il dislivello coperto diventa sempre più grande. Gradualmente la base del cono vulcanico si restringe e si avvicina sempre di più alla vetta del cratere. In questa seconda parte il percorso diventa molto più faticoso, la cima sembra più vicina, ma sempre irraggiungibile. Le linee del vulcano si innalzano mostrando profili obliqui fortemente accidentati e disposti su pendenze aventi un classico andamento iperbolico. Siamo sul cono del cratere. La vicinanza alla bocca è indicata dai colori e dalla forma del terreno. Sulla bianca coltre di neve  aumenta il numero di chiazze nere dovute alla pioggia di lapilli provenienti dalle esplosioni delle bocche subterminali. Il paesaggio cambia bruscamente e si colora di grandi sfumature scure aventi un fascino irresistibile. Il fenomeno diventa sempre più frequente e più evidente sulle zone più alte, ove le chiazze nere si allargano al punto da ricoprire quasi per intero il mantello nevoso. Tale fenomeno è più evidente nella zona di levante, mentre si annulla quasi del tutto nella direzione del cratere centrale, ove la coltre nevosa si presenta intatta, spessa, e immacolata, creando dunque un forte e suggestivo contrasto con le vicine aree ricoperte di lapilli neri. Il paesaggio mostra così un duplice aspetto, sull’orizzonte di levante si apre la distesa del deserto lavico e delle colate provenienti dai crateri posti in sommità, mentre sul quadrante di ponete un candidissimo e spettacolare mantello bianco riveste le ripide pendici del vulcano, contrastando con il blu intenso del cielo di alta quota.  Questa differenza tra i due versanti opposti del cono scalato si mantiene intatta fino alla sommità. Salendo le difficoltà di cammino sono notevolmente accentuate dalla crescente frequenza di fenditure che aprono il cono vulcanico come le crepe che si formano sulla zona centrale di un Pan di Spagna mentre viene fatto cuocere nel suo forno. La posizione del Cratere ci impone di spostare il nostro tragitto sulla parte del pendio non ammantata di neve. Qui le insidie diventano ancora più grandi a causa della estrema instabilità delle aree ricoperte di neve. Trovare un percorso meno  rischioso diventa molto difficile. Siamo quasi sul bordo cratere  e il piano di calpestio, formato da sabbia e lapilli vulcanici, è molto caldo. Con le mani tocchiamo la superficie del terreno, nonostante la rigidissima temperatura dell’aria ne avvertiamo il tepore, proviamo a togliere qualche centimetro di sabbia e scopriamo che già gli strati più superficiali del terreno sono abbastanza caldi. Dalle varie fenditure che attraversano in tutte le direzioni il cono vulcanico fuoriescono a intermittenza grandi nuvole di vapore e di gas. Con grande cautela e con tanta paura raggiungiamo il bordo del cratere, i nostri occhi lo inquadrano per intero, nonostante una continua e densa colonna di fumo si innalzi dalle viscere della bocca. Dalla posizione guadagnata riusciamo a scorgere la parte più superficiale delle bellissime  pareti interne del condotto cilindrico  che collega le camere magmatiche con la bocca. All’interno di quest’ultima, a parte il fumo, non si intravedono altri segni di attività vulcanica. Le grandi e spesse fenditure che attraversano tutto il bordo circolare del cratere ci impongono di non avvicinarci alla bocca. Vorremmo attraversare il piccolo piano che si trova sul versante est del cratere per affacciarci all’interno dello stesso da una prospettiva diversa e per proiettarci sui coni vulcanici che si innalzano a sud, ossia sul cono del cratere di Sud Est e sulla Bocca Nuova, ma il terreno è troppo insidioso e la direzione del vento spinge la colonna di vapore su di noi, perciò desistiamo da tale proposito. Ci accostiamo al piccolo cono che sovrasta la bocca di Nord Est e lo percorriamo tutto, fino a conquistare la vetta più alta del Vulcano. In tale posizione godiamo di una vista unica e pregevole, l’immensità dello spazio allarga i nostri orizzonti in tutte le direzioni permettendoci di sorvolare con lo sguardo le sconfinate distese della Sicilia e dei mari che la bagnano. Siamo nel punto più alto dell’Isola, ai nostri piedi si  apre la bocca del cratere di Nord Est. Scorgiamo dall’alto tutte le pendici innevate attraversate nel cammino in salita e le catene montuose che impediscono al Tirreno di bagnare il Vulcano. Le condizioni di visibilità sono continuamente offuscate dalle grandi nuvole di vapore e gas emesse dal terreno calpestato. In alcuni momenti il vapore è soffocante, brucia la gola e rende l’aria irrespirabile, ci rendiamo conto che anche questa posizione non è sicura, decidiamo perciò di riscendere sul bordo cratere. Qui ci spostiamo nella zona sopravvento   mettendoci così al riparo dalla colonna di fumo. Approfittiamo della posizione raggiunta per contemplare la maestosità della natura e la bellezza del creato. Grandi emozioni attraversano il nostro cuore accompagnate da indescrivibili sensazioni che sbocciano nell’anima. Avvertiamo tutta la fragilità della condizione umana, la piccolezza delle nostre forze e la grande precarietà della vita. Improvvisamente ci rendiamo conto che la nostra esistenza è strettamente connessa al desiderio di amore di una Volontà Superiore contro la quale non possiamo lottare. Nel contempo sentiamo anche tutta la benevolenza di questa Volontà, il suo desiderio di non spaventarci, di proteggerci, di esaltarci, di amarci, di prendersi cura di noi e di esserci solo ed esclusivamente amica. Il cosmo è abitato da forze di cui non riusciamo a percepirne neanche lontanamente la potenza e la grandezza, ma esse per volontà divina sono disposte in modo da favorire solo ed esclusivamente la nostra vita, il nostro benessere, la nostra prosperità e la nostra felicità. Il viaggio compiuto sulle vette di questo Vulcano diventa allora incontro con il nostro Creatore, contemplazione della sua grandezza,   richiamo forte, continuo e irresistibile al suo amore.

Capo d’Orlando 02/04/2013

Dario Sirna

 

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