LA SCALATA DEL VERSANTE EST DELL’ETNA
A distanza di un due settimane dall’escursione effettuata al cratere sommitale di Nord Est, siamo tornati sull’Etna con l’intenzione di raggiungere la bocca del cratere centrale posta alla quota di 3.247 m. slm. Anche questa volta siamo partiti da Piano Provenzana, ma per la risalita del Vucano abbiamo scelto un percorso diverso. Nel primo tratto, invece di dirigerci sul costone Nord della vallata in cui insistono gli impianti sciistici, abbiamo seguito il sentiero che passa dal Monte Nero delle Concazze. |
Questo tragitto è più breve del precedente, ma anche molto più faticoso in quanto concentrando il dislivello in lunghezze minori aumenta le pendenze. In teoria si risparmia tempo, ma in pratica se non si ha un ottimo allenamento aerobico occorre effettuare più soste per recuperare fiato e tono muscolare. Nonostante le condizioni meteo stagionali non siano ancora perfettamente stabili nella grande vallata che si sviluppa attorno a Piano Provenzana la neve si è ormai sciolta quasi dappertutto, specie alle quote inferiori ai 2.000 metri di altezza. Ne consegue che il paesaggio incontrato è policromatico, movimentato e, sebbene la vegetazione sia ancora quiescente, ricco di contrasti e colori. Il fondo nero del terreno e la cornice bianchissima della neve formano un pregevole quadro al cui interno spiccano i colori secchi dei prati, del bosco e degli arbusti. In particolare la cupa monotonia del deserto lavico e l’eccessivo splendore del manto nevoso vengono favorevolmente smorzati dalle contrastanti tinte di una vegetazione ancora bruciata dal gelo, ma già pronta a rimettere nuove gemme. Dal punto di vista cromatico, eccellente è la combinazione tra il giallo secco e lucido dei cespugli delle erbe prative e il fondo scurissimo del terreno lavico. Altrettanto apprezzabile e meritevole di attenzione è il contrasto tra il rosso delicato dei rametti delle chiome del faggio e l’azzurro splendente e intenso del cielo terso. Data l’altezza e le difficili condizioni rocciose del terreno, la vegetazione non riesce ad attecchire ovunque, cosicché, a parte le aree ammantate di boschi di pino, tutto il resto vegeta come in una condizione di iniziale colonizzazione, ossia con piccole colonie di piante diffuse nel deserto lavico con una frequenza molto bassa. Questa condizione crea effetti cromatici singolari caratterizzati dalla forte esaltazione delle forme e dei colori delle specie vegetali su un fondo nero fortemente assorbente. Piante e colori sembrano così materializzarsi da un nulla oscuro che ha il potere di far risaltare ed emergere la loro primordiale presenza e bellezza. Il contesto appena descritto è dominato dallo sfondo candido e fumante del cono vulcanico terminale di Nord Est, la cui sagoma brilla di luce e di bianco in un cielo dalle tinte sempre più blu. Questo paesaggio ci accompagna fino alla quota del Monte Nero delle Concazze, il cui scurissimo cono vulcanico è uno spettacolo di armonia, raffinatezza ed eleganza. Superata questa quota la coltre nevosa ha il sopravvento sul deserto lavico e ogni cosa viene inghiottita dalla forza travolgente del bianco e del gelo. Tuttavia l’attività delle bocche sommItali, mai quiescenti, riesce a spezzare il dominio del bianco, sporcandolo qua e là di sfumature che virano dal grigio chiaro al nero intenso. Questi effetti diventano più evidenti e spettacolari alle quote più vicine alle bocche eruttanti e nelle zone più esposte alla loro attività. Lungo il tragitto compiuto per raggiungere il Monte Dagalotto passiamo da due bocche laterali spente, poste ad una quota di circa 2.400 metri di altezza. Qui la neve e le geometrie cromatiche del Vulcano creano un ambiente particolarmente interessante e suggestivo. Le due bocche, vista la loro stretta vicinanza, sembrano in realtà due vani di un unico cratere. Esse hanno una forma ellittica e spiccano nel bianco della neve come due grossi occhi neri dalla forma orientaleggiante. Sul ciglio superiore del primo cratere, una strana combinazione di neve e vento ha accumulato uno spessore di neve alto quasi dieci metri. L’effetto è simile a quello osservato nell’escursione precedente in corrispondenza dei Due Pizzi, solo che in questo caso l’altissimo strato di neve affacciandosi sulla bocca di un cratere crea un effetto vertiginoso molto più evidente. Infatti, la piccola voragine racchiusa dalle pareti esterne della bocca è ulteriormente esaltata dal grande baratro nevoso che la sovrasta a monte. Vista la particolare bellezza di queste bocche e lo straordinario spessore della neve accumulata in questo posto dalle correnti aeree ne approfittiamo per scattare vari fotogrammi di grande effetto. Proseguiamo il cammino spostandoci sul ciglio anteriore della seconda bocca da cui si domina lo spettacolare paesaggio della sottostante valle. Contemporaneamente il campo ottico si apre alle spaziose aree pianeggiati che conducono alla vetta del Vulcano. Ci dirigiamo verso questi spazi intercettando lungo il percorso la sommità del Monte Dagalotto, opportunamente segnalata da un palo di legno. La cima di questo monte è un piccolo altipiano che vanta il pregio di uno spettacolare belvedere. La posizione dominante di questa vetta intermedia allarga ulteriormente la vista offrendo un paesaggio unico e strepitoso. Data l’altezza raggiunta il cono sommitale del Vulcano sembra molto più vicino e ricco di dettagli sempre più interessanti, ma le geometrie più accattivanti sono rappresentate dalle curve tondeggianti e perfette di una sequenza continua di bocche e coni laterali emergenti dal costone settentrionale del Vulcano e poste a quote inferiori a quella guadagnata. La vista aerea di questo punto di osservazione è perciò molto suggestiva. L’impressione è che ci troviamo al centro di un’area avente una connotazione talmente vulcanica da trasformare il territorio in un paesaggio lunare o, comunque, spaziale. Ne approfittiamo per effettuare la prima sosta e per goderci la bellezza del posto, mentre con lo sguardo puntiamo la cima del cono più alto per studiare il tragitto da compiere nell’ascesa verso il cratere centrale. Nonostante la drammaticità del paesaggio che ci circonda non possiamo non avvertire la grande pace che proviene dagli spazi in cui siamo immersi. Le forze della natura, sebbene imponenti e mostruose, ci parlano un linguaggio nuovo ove la potenza altro non è che l’espressione benevola di una volontà creatrice che continuamente si prodiga per mantenere attivo il soffio vitale del nostro pianeta. Lo spazio acquista una dimensione cosmica e ci proietta nelle terre dell’infinito ove ad accoglierci troviamo la dolce presenza di Dio. Nelle grandi e immense dimensioni degli spazi siderali in cui veniamo trasportati dalle dinamiche che interessano il cuore del nostro pianeta, sentiamo l’immenso bisogno di stringerci a Dio e di affidarci alla paterna protezione del Signore, sicuri di essere accolti e desiderosi di non volere mai più camminare da soli.
Capo d’Orlando 09/04/2013
Dario Sirna