ETNA – CRATERE NORD EST

ESCURSIONE AL CRATERE DI NORD EST

Dopo la scalata dell’Etna del 25 marzo u.s., interrotta a quota 2.900 a causa delle condizioni atmosferiche poco favorevoli, era rimasto nel cuore  il desiderio di raggiungere i suoi crateri sommitali, desiderio fortemente alimentato da una grande nostalgia del vulcano.

La primavera sbocciata sull’isola in tutto il suo splendore ha alimentato, con le belle giornate della settimana appena conclusasi, tale desiderio al punto da farmi decidere di ritornare sull’Etna per immortalare con la fotografia le immagini dei crateri in questo inizio di primavera. L’escursione si è svolta il 31 marzo  con partenza a piedi da Piano Provenzana, quota 1.800 m slm, e arrivo sul bordo più alto del cratere di Nord Est, quota 3.330 m slm circa, lungo  il percorso che attraversa tutti i crateri laterali dello stesso versante. Le condizioni atmosferiche erano altamente favorevoli sia dal punto di vista meteorologico che dal punto di vista vulcanologico. Rispetto all’escursione precedente le bocche sommitali emettevano una nube meno densa di fumo e il vento in quota la dirottava verso Sud Est, lasciando al campo visivo una vista eccezionale sia sul vulcano che sul panorama. L’occhio spaziava in una prospettiva aerea dal Tirreno allo Ionio sorvolando  la catena dei Nebrodi e dei Peloritani, per fermarsi a Nord Est sulle linee chiuse dell’Aspromonte Calabro. Ad ovest, invece, in lontananza spiccavano, come piccole farfalle librate dal vento, le bianche vette delle Madonie, a cui restava sottomesso tutto l’entroterra siciliano con i suoi innumerevoli profili, ognuno diverso dall’altro, ma tutti disegnati da un’unica mano. L’aria estremamente limpida e il colore blu acceso del cielo, in forte contrasto con il bianco splendente dalla neve illuminata da un sole accecante, e con il nero cupo delle rocce laviche, hanno permesso lo scatto di numerosi fotogrammi di alto effetto. E’ stato così possibile documentare chiaramente l’aspetto dei crateri in presenza della neve, il cui spessore continua a mantenersi sempre molto rilevante. Le precipitazioni nevose di inizio settimana hanno aggiunto in quota al manto originario un nuovo tappeto di neve dall’aspetto vellutato, farinoso e asciutto, che come un velo sottile, ha ricoperto le macchie scure di fuliggine vulcanica e le macchie rosa di Scirocco. La pelle della coltre di neve appariva candida e luminosa e non più tatuata e opaca.   Al piacere della scalata si aggiungeva, così, il piacere di camminare in mezzo al soffice, asciutto e leggero strato di neve fresca. Durante la scalata si sentivano  i boati del vulcano, provenienti dalle bocche a Sud. Si ripetevano ad intervelli regolari, come a ricordarci che un leone imprigionato stava per rivendicare la propria libertà. Non erano certo incoraggianti, ma la valutazione della loro lontananza e il forte desiderio di salire non ci fermarono. I boati rimasero fino al termine dell’escursione l’unico suono che rompeva l’ascetico silenzio di alta quota. Le bocche laterali incontrate lungo il tragitto con le loro particolari forme e i lori colori,  in netto contrasto con lo sfondo azzurro del cielo,  ci ricordavano i grandi cetacei bianconeri  (orche) che vivono negli oceani, in mondi lontani dal Mediterraneo. Dalla quota di 2.550 m in su, superate queste bocche, la nostra attenzione veniva totalmente catturata dal cratere sommitale di Nord Est, il più alto dell’Etna. La salita era sempre più difficoltosa e pesante, ma l’azzurro del cielo e la sua piacevole leggera fresca brezza, ci aiutarono a vincere la fatica e a ottimizzare l’uso delle energie. Salendo oltre i 3.000 metri, sotto il cratere la neve era impastata di cenere vulcanica e aveva un aspetto grigio perla. La coltre non era più liscia e sicura ma a forma di grandi dune modellate dai venti. Queste dune erano insidiosissime in quanto, come enormi  palloni di neve pieni di aria,  nascondevano al loro interno baratri profondi molti  metri, formati dall’erosione interna della coltre ad opera del calore emesso dal terreno sottostante. Io stesso ne feci esperienza direttamente, vedendo la duna, apparentemente intatta, crollarmi  sotto i  piedi e lasciarmi  precipitare  in un baratro di quasi 2 metri. Capito il pericolo aumentammo la prudenza, preferendo passare sulle parti più ripide del pendio, anche se molto scivolose, ma più affidabili delle insidiose dune. Con il cuore che ci batteva in gola per una mistura di forti emozioni e grandi paure  siamo così riusciti a raggiungere il bordo cratere e a superarlo in quota scalando anche la sua parte più alta.

Avevamo toccato con lo stesso dito il cielo più alto della Sicilia e le viscere più profonde della sua terra.

Sotto i nostri piedi si apriva un baratro di cui non era possibile individuare il fondo e da cui usciva una ribollente colonna di fumo innalzata per chilometri nella soprastante atmosfera. Era il cratere che sprofondava vertiginosamente nelle viscere della terra delimitato da altissime pareti a strapiombo sulle cui porzioni più alte stavano aggrappate grandi lastre di ghiaccio in forte contrasto con il caldo e ribollente ambiente sottostante.  Tutto intorno al cratere numerosissime fenditure si intrecciavano tra loro interessando vaste zone del cono sommitale. Da alcune di esse usciva ancora altro fumo. Le fenditure erano un altro chiaro segno della grande precarietà del posto e della sua alta pericolosità. Ogni tanto una brezza di vento diradava la colonna di fumo lasciando intravedere a Sud altri ripidissimi coni vulcanici leggermente più bassi del cono di Nord Est, culminanti anch’essi in crateri sommitali, da cui si sprigionavano altre colonne di fumo a da cui provenivano i boati sentiti lungo il cammino. Il cuore era gremito di fortissime emozioni molto difficili da trasmettere a chi non ha vissuto l’esperienza.

Simultaneamente gli estatici palpiti dell’alta quota, della pace interiore, del silenzio dell’anima  venivano sopraffatti dai palpiti suscitati dal blu del cielo, dal  bianco della neve, dalle nubi e dalle terre  sottostanti, i quali a loro volta venivano travolti dalle vibrazioni indotte dalla misteriosa  atmosfera che avvolgeva tutta l’attività vulcanica delle bocche sommitali. Proprio la considerazione del grande pericolo corso nella posizione raggiunta ci stimolò a ridurre al minimo indispensabile la permanenza sul bordo cratere e a riprendere immediatamente la via del ritorno, per collocarci in posizioni meno rischiose. Così, dopo avere scattato le foto e ammirato per alcuni istanti la spettacolarità del posto, i nostri piedi si rimisero rapidamente in cammino sulla via del ritorno. Scendendo ci accorgemmo che il nostro cuore era rimasto lì, sul ciglio del cratere, sul pendio del cono sommitale, sul Piano delle Concazze, e su tutti i punti percorsi in precedenza: era già forte la nostalgia del vulcano. La sua bellezza fatta di neve, di ghiaccio, di crateri, di bocche eruttanti e di panorami mozzafiato, aveva oramai rapito per sempre il cuore. Oggi 1 aprile, dopo poche ore dal rientro a casa, apprendiamo dalle notizie di cronaca della ripresa in grande stile dell’attività vulcanica sommitale.

Capo d’Orlando, 01/04/2012.

Dario Sirna

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