DIO PER IL TUO NOME SALVAMI

SALMO 53

Buongiorno a tutti,

oggi continueremo a camminare sulla via intitolata alla salvezza attraverso il Salmo 53, di seguito riportato:

Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
4 Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca,
5 poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.
6 Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
7 Ricada il male sui miei nemici,
nella tua fedeltà annientali.
8 Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono;
9 da ogni angoscia egli mi ha liberato
e il mio occhio ha guardato dall’alto i miei nemici.

Tema centrale del Salmo è la salvezza. L’Orante rivolge questa supplica a Dio invocando il suo tempestivo aiuto per ottenere salvezza da un imminente pericolo. Noi viaggeremo all’interno del Salmo secondo un percorso tutto spirituale in cui la salvezza implorata e richiesta a Dio è la santità. Siamo nel tempo di Natale e questo evento ci spinge a concentrarci sulla figura del Salvatore e sulla liberazione dell’uomo da Lui operata. Il tema della santità è un tema piuttosto difficile e delicato da trattare perché richiede una grande esperienza di vita oltre che una profonda conoscenza della Parola di Dio e un intimo rapporto con l’Eucarestia e la Chiesa. Tutti gli uomini aspirano alla gloria della santità, tutti gli uomini hanno questo desiderio di immortalità e di eterna soddisfazione interiore e sociale. Il desiderio, quando non è deviato da perversioni nascoste, è legittimo perché stimolato da Dio stesso, il problema principale sta nel modo in cui  si vuole raggiungere  tale obiettivo. Le vie possibili secondo il nostro pensiero sono tante, ma in realtà solo una è quella giusta, quella cioè che ci permette di conseguire l’obiettivo. Essa ha un nome ben preciso e corrisponde ad una determinata persona: Gesù Cristo. Pensare di raggiungere la salvezza da soli, di diventare santi per i propri meriti, di potere accedere alla gloria eterna del Paradiso o addirittura pensare di costruire con i propri sforzi un nuovo paradiso, un eden eterno di benessere, vita e amore perfettamente calzante con le nostre necessità interiori, materiali e spirituali, è un vero e proprio delirio di onnipotenza, è un sicuro catastrofico  fallimento. Nessun uomo è di per sé santo e nessun uomo ha la capacità di conquistarsi da solo la santità. Tutti siamo peccatori, di fronte a Dio nessuno di noi è perfetto e nessuno di noi può aspirare da solo a tale perfezione. Possiamo trascorrere l’intera esistenza in preghiera, ritirati dal mondo e dalle distrazioni, mortificati nel corpo e nella carne, completamente dediti alle opere di misericordia e carità, eppure tutto questo non è sufficiente per farci evitare di cadere nel peccato e per garantirci di vivere nella perfezione della purezza angelica del Paradiso. Il Salmista esordisce in questi versi implorando la salvezza con una intensa invocazione rivolta a Dio. Egli sa che da se stesso è completamente incapace di procurarsi il bene e che solo Dio lo può aiutare. La vita con tutti i suoi problemi e le sue difficoltà non fa altro che mettere in luce tutte le nostre debolezze umane. Inclinazioni, tendenze, desideri, aspirazioni, seduzioni che sono totalmente contrari alla legge dell’Amore si impongono violentemente sulla nostra volontà precipitandoci, anche contro il nostro assenso, sulla via dell’infedeltà e del peccato. Come ci insegna il Salmista occorre necessariamente prendere piena coscienza dell’elevata debolezza del nostro essere e spostare tutta la nostra attenzione sull’Unico mezzo di salvezza e forza che abbiamo a disposizione: l’Amore di Cristo. A tal proposito San Paolo dice: “è quando sono debole che sono forte”. La debolezza della condizione umana è insita in noi e ci accompagna per tutta la vita, divenendo pericolosa specie quando, sentendoci vicini a Dio per il bene compiuto, per la testimonianza data o per la generosità con cui abbiamo  offerto la nostra  stessa vita,  distogliamo l’attenzione da Cristo. Riconoscere il proprio limite, ammettere la propria debolezza è un passo fondamentale nel cammino della vita cristiana, altrimenti non permetteremo mai a Cristo di venirci incontro e di salvarci. Nessuno di noi è in grado di salvarsi da solo, né, tanto meno, è in grado di salvare altre persone. Ammettere a se stessi la propria debolezza non ci autorizza però a perseverare nel peccato e a ricorrere a Cristo, come soluzione del nostro problema. L’Amore non può e non deve mai essere preso in giro, guai a coloro che si prenderanno tale libertà. Guai a chi abusa dell’Amore di Dio per giustificare  se stesso, i suoi peccati, i suoi limiti, e le sue debolezze. Guai a chi si nasconde dietro la giustificazione della sua debolezza per continuare a peccare. Ma allora qual è la via giusta da seguire in questo difficile cammino della vita. La via giusta è quella del continuo, perpetuo e rinnovato affidamento a Cristo. Ove per affidamento non dobbiamo intendere una passiva sottomissione alla direzione (sorte) che prende la nostra vita dopo la preghiera di affidamento. Affidarsi a Dio significa invocare continuamente lo Spirito Santo per tutte le cose che dobbiamo fare, cercare il suo aiuto incontrandolo nella sua Parola, ricorrere alla Chiesa e ai Sacramenti. Ma anche quando avremo fatto tutte queste cose esse non saranno servite a niente se non avremo attribuito i loro immensi benefici direttamente a Cristo. Se noi siamo forti nelle tentazioni non è per merito nostro, ma  è perché è Cristo che è forte dentro di noi contro di esse. Se noi diventiamo Santi non è perché lo eravamo dalla nascita o perché ce lo siamo guadagnati con i nostri meriti e la nostra fede, ma è perché è Cristo che estende su di noi la Sua santità, rendendoci partecipi di essa. Quando nella nostra convinzione riteniamo di potere affrontare qualsiasi tentazione senza divenirne preda è in quell’atto di sfida contro noi stessi e Dio che ricadiamo nel peccato dell’autosufficienza e della superbia, migliore è in tal caso la condizione di colui che per una indomabile debolezza diventa talmente sottomesso ad essa da non riuscire mai a venirne fuori se non attraverso il continuo amaro pentimento e il perenne ricorso al sacramento della riconciliazione. Con questo non si vuole assolutamente elogiare il peccato, che è sempre da condannare, ma si vuole sottolineare come talvolta la debolezza umana sia l’unico mezzo attraverso il quale l’uomo può essere salvato da Dio. Ognuno di noi dovrebbe imparare dalle proprie esperienze personali a usare la misericordia dapprima con se stesso e poi con gli altri. Essere misericordiosi con se stessi significa accettare  l’esistenza di un limite nel proprio essere. Preciso: accettare,  non il limite, ma l’esistenza di tale limite.  Quest’opera di misericordia nei confronti di se stessi ci permette di guardare a Cristo con occhi nuovi, occhi pieni di speranza e di salvezza. Ci permette di vedere in Lui solo il nostro vero e unico Salvatore, come il Salmista con la sua breve composizione ci insegna. Quando poi il peccato è compiuto nella complicità con altre persone, fuggire da esse per evitare la tentazione non è un atto di misericordia né nei confronti di se stessi né nei confronti degli altri, ma un puro atto di egoismo, perché il problema rimane sia nel nostro cuore che nel cuore dei nostri complici. Esso viene solo differito nel tempo, quando allontanatasi la paura del pericolo, diventeremo nuovamente vulnerabili. In tal caso per Carità  occorre con l’aiuto di Cristo affrontare  il problema insieme alla persona con cui lo si vive e risolverlo insieme ad essa, senza abbandonare mai a se stessa tale persona. Nella nostra religione non esiste il “si salvi chi può”, per cui io oggi penso solo alla mia pelle, dimenticandomi della pelle di colui con il quale ho agito nel peccato, o magari pregando per la sua salvezza, con lo scopo di mettermi la coscienza a posto. Anzi donare la propria vita e il proprio impegno fattivo anche per la salvezza di queste persone ci permette di vivere la vera carità (Più grande è la Carità-1Corinzi13), di misurare la nostra misericordia e di accrescere la nostra conoscenza e familiarità con Cristo. Non bisogna mai fuggire di fronte a un peccatore, perché egli ha bisogno di aiuto e non è peggiore di noi, mentre noi lo diventiamo nel momento in cui lo evitiamo. Occorre, invece avere sempre per i nostri fratelli quel grande amore che Cristo ci ha testimoniato dalla mangiatoia fino alla croce, perché  il peccato va sempre condannato ma il peccatore deve sempre essere recuperato e aiutato, riconducendolo a Cristo, suo unico Salvatore. Anche il Salmo offre questo aspetto comunitario, in cui la salvezza implorata dal singolo viene chiesta per tutti.

Capo d’Orlando, 27/12/2012

Dario Sirna

 

 

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