LUCA 7, 11-17
Buongiorno a tutti,
il cammino di oggi ci viene proposto dall’Evangelista Luca, attraverso i seguenti versi del Vangelo da lui scritto:
“11In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.”
“Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!».” Vogliamo concentrare la nostra attenzione su questa frase del brano di Vangelo sopra riportato. In questa frase possiamo cogliere alcuni aspetti del grande mistero dell’amore divino. Dio è Amore e l’amore è gioia. Questa gioia non è una gioia umana, una gioia cioè che si compie econsuma nella sfera egoistica della persona, ma una gioia che include in sé tutte le realtà create, tra cui anche l’uomo. La tenerezza del cuore di Dio è chiaramente espressa dalla grande commozione che riempie il cuore del Signore alla vista del dolore della madre vedova che piange per la morte del figlio. Dio, pur essendo nella condizione dell’eterno gaudio del Paradiso, è vicino al dolore dell’uomo e il suo coinvolgimento è talmente grande da non potere essere da noi compreso del tutto. Tale coinvolgimento scaturisce direttamente dall’Amore, il quale appunto non è mai indifferente al dolore sincero di un cuore che soffre maledettamente. L’Amore è dunque la causa del gaudio celeste, ma è anche l’origine della compassione divina. La compassione di Dio per l’uomo che soffre non è una compassione apparente e superficiale, come quella umana, ma una compassione profonda che diventa piena partecipazione al dolore dell’uomo. Tale compassione non si ferma alla consolazione sentita del cuore che soffre, ma interviene nella vita e nella salute di questo cuore con fatti concreti che servono a rimuovere completamente il dolore partendo dalla cura della causa che lo generato, fino a guarire completamente l’anima, restituendole il bene tolto. Questo comportamento di Dio nei confronti della sofferenza umana è palese e si manifesta principalmente attraverso il dono della risurrezione finale dei corpi. Ovviamente vi sono altri doni, comunemente chiamati prodigi e miracoli, con cui si ha la stessa manifestazione della benevolenza di Dio verso l’uomo, ma noi vogliamo concentrare la nostra attenzione sul dono più grande fatto da Dio all’uomo e che scaturisce dalla compassione divina, il dono della risurrezione finale. La risurrezione finale dei corpi è il dono con cui Dio ristabilisce in pieno la persona umana e la introduce nella vita eterna del Paradiso, ossia nella piena comunione d’amore con Dio. Questo dono ha effetti molteplici nella vita di ciascuno di noi. Tali effetti interessano sia la nostra sfera di affetti personali, sia la sfera divina. Il Signore di fronte alle lacrime e al dolore toccante della vedova di Nain rimane profondamente turbato, tanto turbato da decidere di concedere alla madre sofferente un ulteriore dono di gioia, la risurrezione terrena (per la vita terrena) del figlio morto. Questa madre dunque assisterà nel corso della sua esistenza a due risurrezioni del figlio, la prima avvenuta in seguito alla prima morte terrena, la seconda, quella finale, che attende tutti noi. Non ci sono differenze di motivazioni in Dio per attuare queste due risurrezioni nella stessa persona, lo spunto per esse è tratto da Dio sempre dallo stesso identico sentimento di compassione che anima il cuore del Signore di fronte al dolore dell’uomo. Entrambe sono la risposta di Dio alla sofferenza umana. La risurrezione del figlio della vedova di Nain ci insegna allora che la risurrezione finale promessa da Dio a ognuno di noi è il dono con Dio ci libera per sempre dal dolore della morte e dalla insostenibile sofferenza della perdita delle persone amate. Alla luce di questa realtà il cuore umano di fronte alla morte dei cari, pur sentendo tutto il peso del loro distacco da noi, non dovrebbe più cadere nella tentazione tristissima e pericolosa della disperazione. Dio ha tolto per sempre questo dolore dalla nostra vita assicurando la risurrezione a ogni uomo del mondo. Dunque la compassione divina è un motore attivato dall’Amore che tiene Dio attaccato all’uomo per sollevarlo da ogni sofferenza e da ogni doloroso dramma. I benefici della risurrezione finale dei corpi non si estendono solo alla certezza di non avere perso per sempre i nostri cari e di poterli un giorno riabbracciare come un tempo, ma ci ottengono l’ulteriore grazia di vivere in eterno con tali fratelli attraverso la meravigliosa realtà della comunione d’amore con Dio. Il frutto della compassione divina di fronte al dolore umano dunque si espande a tutta la condizione dell’uomo, comprendendo in essa non solo la sfera degli affetti umani, ma anche quella del destino dell’uomo, destino che deve realizzarsi solo in Dio e non nel maligno.
Capo d’Orlando, 09/06/2013
Dario Sirna.