“CHI SI VERGOGNERA’ DI ME E DELLE MIE PAROLE …”

MARCO 8, 34-9,1

Buongiorno a tutti,

anche oggi continuiamo a muovere i passi del nostro cammino nella direzione indicata dal Vangelo di Marco, di cui la liturgia ci propone i   seguenti  versi:

34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 36Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? 37Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 38Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».”

                                           

Le parole del Vangelo di oggi sembrano orientarci verso l’apparente contraddizione  espressa dalle seguenti parole: “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Dov’è la contraddizione? La contraddizione è nella circostanza che seguendo Gesù, con la morte cui si va incontro si ottiene la vita eterna, mentre seguendo se stessi, fuggendo dalla morte, si perderà la vera vita. Il discorso di Gesù ci indica l’esistenza di una dimensione all’interno della quale vita e morte hanno valori del tutto opposti a quelli ordinari che la nostra natura ci impone. In questa dimensione particolare il valore della morte non è quello inutile e senza significato che consiste nella fine di tutto, ma quello altissimo di chi è disposto a offrire la sua vita in cambio della vita degli altri. In tal modo la morte perde completamente il suo aspetto punitivo, macabro  e annullante per assumere un ruolo creativo, edificante, costruttivo e rinnovativo. In realtà essa,  di per sé insieme alla sofferenza continua sempre ad esprimere una realtà negativa, ma messa nelle mani dell’amore diventa uno strumento attraverso il quale fare trionfare la vita, il bene, la fratellanza, l’affetto, l’amicizia, l’agape, la comunione. E’ la forza dell’amore che ha tale merito, ed è la forza dell’amore che trasforma il negativo della vita in positivo, in strumento attraverso il quale  dare massima espressione al bene. L’invito di Gesù a seguirlo è un invito a scoprire il significato autentico e altissimo della sua missione di salvezza, significato che l’uomo da solo non riesce a comprendere, significato che altrimenti rimane non rivelato. La sequela di Cristo è sopportazione della propria croce, non per spirito di sopravvivenza, né per eroismo, né per autoesaltazione, né per trionfalismi, ma solo ed esclusivamente per partecipazione completa e piena all’amore divino. Il signore ci invita ad abbandonare le nostre convinzioni personali, a rinunciare ai nostri progetti di autoaffermazione del nostro io, a vincere la tentazione della ricerca del primato della nostra vita, a svuotarci del nostro io e delle sue esigenze di imporsi nel mondo e sugli altri, al fine di imparare dal suo esempio e dalla sua testimonianza in cosa consiste l’amore, come lo si vive, come lo si attua, come esso rende l’anima veramente libera da se stessa, dall’attaccamento a tutto ciò che la schiavizza, e da ogni cosa terrena che la opprime e la trascina sempre nel dolore dell’incomprensione di se stessa, degli altri, del mondo, di Dio e del senso della vita. L’amore vero è una scoperta che l’uomo può fare e sperimentare solo nella sequela fedele di Cristo, solo nella sequela della croce. Portare la propria croce non significa auto punirsi, non significa fare penitenza, non significa auto castigarsi, non è questo il senso della croce di Cristo, non è questo il valore della passione del Signore.   Portare la croce significa invece scoprire nell’amore, ossia nell’atto di darsi agli altri, nell’atto di offrire la propria vita per gli altri, un piacere, una soddisfazione, un appagamento che nessuna altra forma di generosità può raggiungere e imitare. La carità della vita, carità dell’offerta di se stessi, carità dell’offerta della propria vita per amore del prossimo, non è un atto penitenziale, non è un atto di restituzione di un debito, non è un atto di chiusura di un conto passivo, ma è un atto gratuito di generosità spontanea che materializza la gioia di rendere felici gli altri e di dare il bene agli altri attraverso l’offerta totale di se stessi.  L’amore consiste proprio nella capacità di superare il limite del proprio io per rapportarsi a un tu. Una vita che è capace di spendersi gratuitamente per tale scopo è una vita che non conosce il limite della morte, né ha paura di andare incontro ad essa perché stima più importante di tale paura il dono del bene da conferire agli altri.  Cristo ci insegna che in questo modo di intendere la vita e in questo modo di vedere la morte c’è nascosto il significato vero della nostra esistenza, significato che non è soggetto ai limiti del tempo terreno in quanto è proiettato all’estensione eterna del Paradiso. Inoltre, il Vangelo di oggi ci invita a non avere vergogna dell’amore, a non avere vergogna cioè dei propri sentimenti per Cristo, dei propri sentimenti per il prossimo, del proprio desiderio di aderire alla sequela di Cristo. Tali desideri e tali sentimenti sono un dono ricevuto dal Signore stesso, un dono di fronte al quale non possiamo  restare indifferenti o sordi, né possiamo rifiutarlo senza arrecare offesa a Dio che nella sua immensa bontà ce lo ha partecipato gratuitamente.

Capo d’Orlando, 21/02/2014

Dario Sirna.

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