CASTELL’UMBERTO – RIAPERTURA DELLA CHIESETTA DI SAN BIAGIO E FESTEGGIAMENTI IN ONORE DEL SANTO
Ieri pomeriggio nella comunità di Castell’Umberto si è svolta la processione del simulacro di San Biagio. La statua raffigurante il santo martire e vescovo armeno è stata trasferita a piedi dalla chiesa Madre alla chiesetta di San Biagio, sita nella contrada omonima. L’evento ha un significato particolare in quanto rappresenta nella vita religiosa di Castell’Umberto il ritorno a un culto che era stato sospeso circa cinquant’anni fa. La chiesa di San Biagio è una chiesetta padronale edificata agli inizi del 1800 per volontà della famiglia De Luca. |
Nella suddetta Chiesa era stato ufficialmente istituito il culto a San Biagio attraverso la celebrazione della festa nel mese di luglio e attraverso la celebrazione eucaristica del 3 febbraio, giorno in cui ricorre la memoria liturgica del Santo, all’interno della quale si effettuava la benedizione della gola. Alle fine degli anni sessanta, a causa del cattivo stato di conservazione delle strutture della chiesa, il culto veniva improvvisamente interrotto. Per recuperare la tradizione di San Biagio, nel 2013 gli abitanti del posto, su iniziativa del Dott. Tullio Scurria, animati di buona volontà, amore e fede, hanno provveduto al restauro della chiesetta e della statua. Per riprendere la tradizione antica era necessario ripartire dalla celebrazione liturgica del 3 febbraio, giorno dedicato dalla Chiesa alla memoria di questo Santo, per questo motivo ieri pomeriggio si è provveduto al trasferimento ufficiale in processione del simulacro del Santo restaurato dalla chiesa Madre alla chiesetta di San Biagio, ove oggi sarà celebrata la Santa Messa con benedizione della gola. La processione ha visto la partecipazione di tutta la comunità dei fedeli, che, sotto la guida del Parroco, Padre Nino Mastrolembo, con grande gioia si è stretta attorno al Santo per accompagnarlo nella dimora a lui dedicata. Nel corso del pellegrinaggio la rievocazione della vita del Santo e del suo esempio di cristiano, della sua impeccabile fede e soprattutto del suo amore, hanno trasformato in preghiera e lode al Signore tutto il cammino effettuato. Corre l’obbligo di precisare che nel corso del pellegrinaggio è emerso in maniera chiara che la volontà di riaprire la chiesetta di San Biagio e di riprendere il culto del Santo non è scaturita tanto da un desiderio di tradizione festaiola popolare, quanto dall’esigenza di riproporre nel Santo alla cittadinanza locale un esempio di vita cristiana impeccabile, nonché un’intercessione sempre sicura e affidabile e una via facile di accesso a Cristo. San Biagio è conosciuto nella tradizione popolare come il protettore della gola, questa sua fama deriva da alcuni episodi in cui si rispecchia la sua condotta di vita e soprattutto la profondità della sua vita di fede. Indagando nella vita di questo grande uomo abbiamo scoperto che l’episodio della guarigione miracolosa del giovane nella cui gola si era confitta una lisca di pesce, episodio da cui deriva l’invocazione del santo per la protezione della gola, è un fatto davvero marginale nella storia di questa santità. Per comprendere meglio la grande spiritualità di San Biagio, spiritualità che merita grande rispetto e devozione, spiritualità che giustifica il culto per questo santo, conviene rifarsi ai discorsi di Sant’Agostino Vescovo, relativi alla consacrazione episcopale. Nella sua opera Sant’Agostino ci spiega il senso di quel famoso brano del Vangelo di Giovanni in cui dopo la risurrezione di Cristo e prima della sua ascensione il Signore interroga per ben tre volte Pietro ponendogli questa richiesta: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” Cui segue l’esortazione “Pasci le mie pecorelle”. Sant’Agostino nel commentare questo bellissimo brano del Vangelo ci fa comprendere che amare Cristo non significa solo pretendere di ricevere da Lui il suo amore. Amare il Signore non significa essere disposti ad accogliere i suoi doni, pronti a consumarli per chiederne di nuovi, senza mai dare nulla. L’amore presuppone il contrario, ossia il desiderio di darsi totalmente all’altro senza nulla pretendere, per cui se è vero che Cristo amandoci si dona a noi totalmente senza chiederci nulla in cambio è altrettanto vero che per avere una relazione amorosa con Cristo è necessario che anche noi amiamo Lui allo stesso modo. Non possiamo dire di amare veramente Dio se il nostro amore è a senso unico, ossia se esso è una convenienza che ci apre solo nei confronti della benevolenza, della grazia e della provvidenza del Signore, ma dobbiamo partire da noi stessi, offrendo a Lui il nostro cuore, la nostra vita, il nostro tempo, i nostri beni e ogni cosa che appartiene a noi, comprese le nostre parole e le nostre azioni. La domanda di Cristo a Pietro, trova risposta nella richiesta del Signore: “Pasci le mie pecorelle”. Se veramente amiamo Cristo dobbiamo dimostrarlo con l’impegno assiduo e prioritario di pascere le sue pecorelle, tutto il resto non ha valore e senso. Recitare rosari e partecipare alle devozioni è vero segno dell’amore per il Signore solo se tale aspetto è accompagnato da un impegno più importante, più necessario, più urgente e più determinante, l’impegno della carità, l’impegno della fratellanza, l’impegno della testimonianza, l’impegno della missione, l’impegno dell’attuazione della Parola di Dio, l’impegno dell’incarnazione dei sacramenti, l’impegno della cura del prossimo, della sua fede, della sua salvezza. Amare Cristo significa riconoscerlo nel fratello che ha bisogno di Lui, significa impegnarsi affinché tale fratello possa giungere a Lui, amare il fratello come se stessi, vedendo in lui non un estraneo di cui non ci interessa nulla, ma una parte del nostro essere di cui abbiamo cura e amore. Se siamo Chiesa siamo parte di un unico corpo, Cristo ne è il Capo, noi le membra, Cristo ha dato la vita per il suo Corpo, anche noi che siamo membra di questo corpo dobbiamo dare la nostra vita per esso. In tale Corpo mistico non ci siamo solo noi, ma ci sono tutti gli uomini del mondo e in particolare tutti coloro che sono lontani dalla salvezza e che potrebbero per questo staccarsi e perdersi dal corpo, per questi tali Cristo ha dato la vita, facendo in un primo tempo noi membra del suo corpo. Ora tocca a noi, come membra, insieme a Cristo, come Capo, fare lo stesso per coloro che sono lontani dalla salvezza e in pericolo di morte eterna. Pascere le pecore di Cristo significa prendersi cura con premura e priorità di tali pecorelle e farlo arrivando fino al punto di essere disposti a dare la nostra stessa vita per la loro salvezza. Sant’Agostino nello stesso testo ci ricorda che nel discorso del Risorto con Pietro sulla funzione dell’episcopato e quindi sul senso da dare alla parola amore quando questo sentimento viene riferito a Cristo, il Signore rivolge a Pietro queste altre parole, consegnandogli un significato ancora più chiaro e profondo della parola amore : “.. quando darai vecchio un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Con queste parole il Signore consegna a Pietro una verità fondamentale della nostra fede, l’amore non è un sentimento che esprime un’emozione interiore, ma è un atto di carità e di generosità totalmente gratuito che si realizza nel momento in cui si è pronti a soffrire per le “pecorelle” di Cristo, nel momento in cui cioè si è pronti a morire pere esse. Riassumendo amare Cristo significa amare e pascere le sue pecorelle e prendersi cura del gregge del Signore significa essere disposti a soffrire e a dare la vita per esso. Tutto questo ci viene in aiuto per comprendere la santità di san Biagio. Della sua vita sappiamo poco, ma qual poco che sappiamo è sufficiente per farci affermare a voce alta che le parole rivolte da Cristo nel Vangelo di Giovanni a Pietro, sono state da questo Santo incarnate con grande perfezione nella sua vita. Egli ci ha lasciato un esempio altissimo di cosa significa amare il Signore, di cosa significa essere cristiani. Di professione era medico e utilizzò questa sua preparazione mettendola gratuitamente al servizio di tutti, di fede era cristiano e visse la sua fede prendendosi cura delle pecorelle della Chiesa di Sebaste in Armenia accettando e attuando in maniera esemplare la carica di Vescovo, nel cuore era innamorato di Cristo e diede testimonianza di questo amore attraverso una prova di fedeltà massima, sopportando sofferenze, torture e persino il martirio pur di non rinnegare mai questo suo amore e pur di non tradirlo e offenderlo mai. San Biagio, per sua stessa richiesta, vuole essere invocato per la protezione guarigione delle gole, ma a noi piace invocarlo perché ci insegni e ci guidi a imitarlo nell’amore per il Signore e nella fedeltà alla Parola di Dio. Benissimo hanno fatto i fratelli di Castell’Umberto a ripristinare una tradizione al cui interno si nasconde un significato fondamentale per la salvezza, per la felicità e per la vita di ognuno di noi. A loro va tutta la nostra stima e il nostro grazie dal profondo del cuore per averci offerto con questa occasione una nuova opportunità di avvicinarci a Cristo e di potergli piacere.
Capo d’Orlando, 03/02/2014
Dario Sirna.