VISITA AL PONTE ROMANO SULLE SPONDE DEL TORRENTE CARONIA
Era lì da quasi duemila anni, costruito in epoca Romana, garantiva con successo l’attraversamento del torrente Caronia in uno dei suoi tratti più impetuosi e difficili, quello antecedente la foce, ove la portata del fiume e la larghezza del suo letto raggiungono il massimo valore. |
Aveva superato tutte le avversità del tempo cronologico e del tempo meteorologico, sembrava un gigante della storia, destinato a durare nel tempo illimitatamente se lo spirito distruttivo della guerra non lo avesse avvolto nelle sue spire per segnarne la fine. Il Ponte Romano sul Fiume Caronia era una delle opere architettoniche più belle della provincia di Messina, un’infrastruttura di grande utilità e di indescrivibile fascino. Oggi del ponte resta ben poco, ma quanto basta per immaginarne la bellezza originaria e per rivivere un pezzo di storia. Il ponte è a tre campate di cui due sono ancora presenti, mentre quella centrale è scomparsa del tutto. Un grande vuoto invade quella che per millenni era stata la sede dell’arcata principale, un vuoto che si estende a tutta la valle, la risale e raggiunge il cuore dei Caronesi. Dall’alto del centro nebroideo la visone del ponte era sicuramente motivo di vanto storico ed economico oltre che elemento rassicurante che conferiva fierezza e sicurezza a tutti gli abitanti. La perdita della campata centrale in un certo senso ha segnato l’inizio di un declino che ha coinvolto la vita del paese in tutte le sue multiformi espressioni. La campata della sponda di levante è quella che versa in migliori condizioni e che permette di comprendere la bellezza originaria della struttura, la sua architettura, lo stile e la tecnologia utilizzati nella costruzione del ponte. Il ponte ovviamente è in muratura di pietra, la sua struttura poggia su imponenti pilastri da cui, come ali spiegate nel cielo, si innalzano le campate ad arco. Nella struttura del ponte sono evidenti tre tipologie di pietre. La prima è costituita da blocchi a forma di parallelepipedo, presumibilmente di travertino, di evidente fattura antica, la seconda da pietrame di fiume di misura varia, in parte squadrato, in parte utilizzato nella forma naturale, la terza da blocchi di pietra arenaria, del tipo locale, reperita quindi sul posto, di evidente fattura recente. Le tre tipologie di pietra occupano spazi e parti differenti della struttura. Il travertino è presente negli archi, nelle spalle, nelle volte, nei basamenti di protezione. La pietra di fiume è presente nei piloni e nella formazione del segmento carrabile che si appoggia sugli archi e sulle volte, con funzione più di riempimento che portante. I blocchi di arenaria formano un plinto di fondazione, la cui fattura sembra recente, aggiunto a sostegno del plinto originario, scavato dalla erosine della corrente fluviale. Lo stile e l’architettura di questo plinto testimoniano la sua presunta diversa epoca di realizzazione. Il travertino non è una pietra locale, ma una pietra del Lazio, ampiamente utilizzata nell’Impero Romano per la costruzione di grandi opere architettoniche. Non abbiamo la competenza per scendere nei particolari storici e strutturali dell’opera, per cui ci limitiamo alle riflessioni suscitate dalla struttura e dai posti. Notizie locali riferiscono che il ponte versava comunque in ottimo stato fino agli anni della guerra e che era utilizzato senza limitazioni. Ancora oggi è possibile farsi una passeggiata sulla campata di levante, l’unica che presenta una volta integra e affidabile. La campata di ponente, invece, sebbene ancora presente, mostra notevoli difficoltà strutturali dovute a vari fattoti. In primo luogo la sua larghezza è ridotta, a causa dei crolli subiti con i bombardamenti, alle dimensioni di un arco. In secondo luogo questo arco presenta in tutta la direzione della sua lunghezza una profonda crepa che divide esattamente in due lo spessore verticale dell’arco. Questa fessura è indice di un imminente nuovo crollo, che questa volta interesserà sicuramente l’intera struttura, cancellandola per sempre dal paesaggio del posto. Questa constatazione è molto realistica e pensiamo possa realizzarsi anche nella prossima stagione invernale. Ci dispiace molto darne testimonianza, vorremmo anche fare qualcosa per salvare quel poco che ancora è rimasto, ma le forze e l’impegno necessari sono sostenibili solo dalla pubblica amministrazione. Ci appelliamo alla sensibilità degli Amministratori locali perché possano intervenire per salvare il salvabile e per ripristinare tutto quello che oggi non esiste più. Sarebbe veramente un grande successo rivedere il ponte ricostruito con gli stessi materiali e le stesse tecniche utilizzati dai romani, ci auguriamo che questo sogno possa diventare realtà nell’imminente futuro. Magnifica è la collocazione paesaggistica del ponte. Esso funge contemporaneamente da ingresso per due realtà ambientali diverse e opposte ma entrambe affascinanti. Guardando verso la costa il ponte apre il campo ottico verso gli sconfinati orizzonti di un fantastico e azzurro Tirreno. Guardando verso l’entroterra, invece, esso immette il visitatore all’interno di una delle vallate più suggestive dei Nebrodi, la vallata del Torrente Caronia. La sua posizione sembra quasi segnare il confine tra queste due differenti nature. L’ambiente circostante il ponte è ricco di vegetazione spontanea e di colture agricole. Nel greto del fiume abbondano coloratissimi oleandri e aromatici tamerici, entrambi confinati sulle sponde esterne, come eleganti siepi naturali che fanno da cornice al passaggio dell’acqua. Sulle attigue colline si estendono, invece, antichi uliveti e quello che resta della coltivazione del limone. Il ponte, nonostante le sue gravi mutilazioni, spicca in mezzo a questo giardino naturale come un antico monumento di segreta bellezza. Avvicinandosi ad esso e osservandolo con attenzione il mistero delle sue sembianze è rivelato dai grandi conci di pietra che ne compongono le strutture, ne disegnano le forme e ne proiettano l’evoluzione tridimensionale completa. Le parti ancora presenti, anche se ridotte a ruderi, lanciano nelle direzioni dello spazio vuoto linee immaginarie che compongono le parti mancanti, completando nella mente del visitatore la struttura originaria.
Capo d’Orlando, 25/06/2013
Dario Sirna.