MATTEO 9, 27-31
Buongiorno a tutti,
i seguenti versi del Vangelo di Matteo illuminano il nostro cammino di oggi:
“27Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 28Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». 29Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». 30E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». 31Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione. ”
L’episodio raccontato nel Vangelo di oggi ci parla della fede. La fede è quello strumento del cuore e della mente che ci permette di entrare in relazione con Dio. Non c’è relazione con il Signore se non c’è fede in noi. E’ Dio stesso che provvede a procurarci tale dono, ma è compito nostro accoglierlo e coltivarlo per farlo fruttare. A volte l’impressione che si ha parlando del dono della fede è che esso sia un pacco consegnatoci da Dio all’interno del quale c’è questo strumento con le istruzioni necessarie per utilizzarlo. Ma non è proprio così. Si parla di dono perché è Dio che gratuitamente si relaziona con l’uomo. La fede è la Parola stessa accolta nel cuore e creduta nella mente. Dio cerca l’uomo e si rivolge a Lui parlandogli. Questo linguaggio contiene in sé gli ingredienti della fede. Esso si compone di parole che ci rivelano verità a noi sconosciute. Queste verità entrando in noi diventano il fondamento e l’essenza della nostra fede. Avere fede significa possedere nel cuore tali verità, accoglierle, crederle, farle diventare la struttura portante della nostra mente, costruire su di esse la nostra vita, fondare su di esse l’origine di tutte le nostre scelte. Solo in questo modo la Parola ricevuta in dono da Dio diventa presenza viva, operativa e continua del Signore nella nostra vita, solo in questo modo si realizza la comunione di vita con Dio e con i fratelli. La fede non è dunque solo conoscenza della Parola, ma è essenzialmente sua incarnazione in noi. Incarnare la Parola nella nostra persona significa personificare la Parola, darle il nostro corpo, darle il nostro volto, darle le nostre gambe, darle le nostre mani, darle i nostri piedi, darle la nostra voce, darle la nostra lingua, darle i nostri occhi, darle le nostre orecchie, darle tutti i nostri sensi, darle il nostro cuore, darle i nostri sentimenti, darle la nostra mente, darle la nostra anima. Questo processo di incarnazione completo e perfetto produce una fede altrettanto completa e perfetta. In Cristo ciò è avvenuto e avviene con regolarità, in noi il cammino è molto più complicato. Il Figlio di Dio è anche il primo uomo in cui l’incarnazione della Parola si realizza in perfezione. Cristo è perciò detentore della fede piena, talmente piena da diventare per noi non solo modello da seguire, ma anche una sorgente di fede a cui attingere per alimentare il nostro cammino. I ciechi del Vangelo di oggi ci dicono che avere fede significa correre dietro a Cristo anche quando non lo vediamo, anche senza conoscerne il suo volto, anche senza poterlo fissare negli occhi. Correre dietro a Lui semplicemente perché inseguiamo la sua parola, inseguiamo le sue promesse, cerchiamo una relazione interiore con Lui, una relazione che dia calore al nostro cuore. Mentre Gesù si allontana da noi, apparentemente abbiamo l’impressione di essere abbandonati, mentre nella realtà siamo da Lui guidati in un luogo che ci permette di accrescere la nostra intimità con Dio. Nel Vangelo di oggi Cristo si allontana, sembra quasi voglia scappare dai due ciechi, mente invece Egli così facendo riesce a condurli ove da soli la loro fede non li avrebbe mai fatti arrivare, ossia nel punto cui la guarigione da loro ottenuta non si limita a interessare il loro corpo e la loro vista, ma si allarga al cuore ove diventa intelligenza, rivelazione, conversione completa, adesione a Dio per amore. Il segno di questa conversione interiore è fornito dalla gioia con cui i due ciechi si fanno discepoli di Cristo annunziando al mondo il bene da loro ricevuto ad opera del Signore, annunziando cioè al mondo intero la grandiosità e l’importanza della scoperta effettuata in Cristo. La loro guarigione è commisurata alla loro fede, questo principio vale per tutti. Esso si basa sul concetto che la grazia di Dio ha possibilità di agire laddove essa è creduta, cercata, invocata, apprezzata, desiderata e chiesta con insistenza. La scena descritta dal Vangelo di oggi ci mostra proprio Gesù che con il suo comportamento dopo avere seminato la fede nei cuori dei due ciechi riesce a farla maturare al punto da permettere loro di ottenere una guarigione completa, una guarigione, cioè, che dal corpo si estende al cuore e alla mente, una guarigione che ha tutto il sapore di una vera conversione. Nel cammino dell’Avvento tutta la nostra attenzione è concentrata sulla nostra conversione. Il brano di oggi ci offre allora la possibilità di comprendere che la nostra fede non deve attendere inerme risposte da Dio, ma deve portarci a seguirlo, a rincorrerlo, ad essere insistenti, a cercarlo proprio quando Egli sembra non interessarsi di noi. L’apparente silenzio di Dio altro non è infatti che uno stimolo di crescita, uno stimolo che ci permette di uscire all’esterno del nostro io per permetterci di ricevere Dio e di farlo agire in noi liberamente.
Capo d’Orlando, 06/12/2013
Dario Sirna.