AMICI DEL SEMINARIO – INCONTRO DEL 3 MARZO 2013

SEMINARIO VESCOVILE DI PATTI – AMICI DEL SEMINARIO – 03/03/2013

Ieri pomeriggio nella sede di Patti del Seminario Vescovile della nostra Diocesi si è tenuto l’incontro tra il  Seminario e gli “Amici del Seminario”. All’incontro hanno partecipato Padre Basilio Rinaudo in qualità di  Rettore del Seminario, Padre Dino Lanza, in qualità di Vice Rettore  del Seminario, Padre Pietro Pizzuto, in qualità di Direttore Spirituale del Seminario, i Seminaristi e i laici che hanno a cuore la vita del Seminario.

L’incontro, interessantissimo, si è tenuto nei locali dell’auditotium del Seminario di Patti e ha sviluppato l’importante tematica della fede. Questo breve e intenso cammino è stato impostato su tre passi fondamentali di cui il primo è stato effettuato grazie alla guida e al  sostegno di Padre Pietro Pizzuto, il secondo si è avvalso della proiezione di un film sulla vita di Don Domenico Cassandro e il terzo è stato condotto grazie alla celebrazione eucaristica. L’incontro è stato animato con il canto dai seminaristi e da Don Dino Lanza. Padre P.Pizzuto ha introdotto i lavori ricollegandosi all’immagine fornita da Papa Benedetto XVI  sulla fede. La fede è una lampada dalla fiamma flebile, continuamente sottoposta alle avversità dei venti e delle correnti dominanti, un piccolo fuoco che facilmente può soccombere sotto la spinta della burrasca, occorre perciò custodire questa fiamma, proteggerla, alimentarla, accrescerla, credere in essa, vedere con essa, guardare attraverso essa, illuminare se stessi e gli altri, donarla agli altri, metterla al centro della vita, trasformarla in un rogo d’amore che consuma tutta la nostra esistenza. Il primo passo da compiere in tal senso consiste proprio nel cercare tale fiamma nel nostro cuore. Ma come è possibile cercare una tale luce dentro noi? Questo interrogativo trova la sua risposta nell’unica grande verità che ci ricorda che la fede è un dono di Dio. L’uomo nella sua natura non possiede la fede, egli la acquisisce per dono divino. Tale dono trova la sua motivazione principale nella volontà di Dio di creare una relazione tra Se stesso e l’uomo. Tale relazione è resa possibile proprio grazie alla fede. Senza questo dono fondamentale l’uomo non potrebbe mai cercare Dio, sentirne il bisogno, avvertirne la presenza, chiederne la comunione. E’ la bontà divina, infervorata dall’amore incontenibile di Dio, che si piega sull’uomo e lo innalza alla condizione eletta della fede. Questa condizione, essendo una condizione donata, e quindi partecipata, in realtà non diventa mai un possesso. Come la fiamma della lampada non può continuare a brillare se non è alimentata dall’olio, allo stesso modo la fede ricevuta si spegne se Dio non continua costantemente a donarla. Essere nella convinzione di possedere la fede per proprie forze e possibilità è dunque molto rischioso. Sicuramente nell’ambito familiare la fede viene trasmessa dai genitori ai figli e trova le sue radici nella tradizione, ma questo cammino di fede diventa veramente tale solo nel momento in cui intervenendo Dio direttamente in questo argomento personale Egli trasforma la tradizione in una vera e autentica relazione tra Lui e noi, relazione attraverso la quale viene istituito da Dio nella nostra vita un canale prezioso con cui la fede ci viene continuamente donata. Questo canale è un vero e proprio cordone ombelicale, un cordone che ci fa figli, un cordone che ci alimenta, un cordone che ci realizza, un cordone che ci accresce, un cordone che ci dà la vita, un cordone che ci riempie di amore, un cordone che ci fa vedere Dio, un cordone che ci fa gustare Dio, un cordone che ci fa incontrare Dio, un cordone che ci fa conoscere Dio, un cordone che ci trasferisce in Dio, un cordone che in Dio ci mette in relazione con tutti. Questo cordone è realizzato da Dio ed è mantenuto da Lui. Nel momento in cui l’uomo lo taglia egli perde la fede e con essa perde tutto quanto. L’uomo da solo non può vivere, non si realizza, perde significato, rimane orfano, senza meta, senza orientamento, senza contenuto. In tale situazione l’unica consolazione dell’uomo è sapere che Dio non ha tagliato e non taglierà mai tale cordone e che è sufficiente tornare a Lui per ritornare a ricevere tutte le grazie della fede. Quando l’uomo per sua scelta e per sua convinzione personale perde anche tale speranza la sofferenza diventa disperazione e il dolore si traduce in inferno. Bisogna sempre ricordarsi che anche quando siamo convinti di avere perso completamente  la fede, in realtà abbiamo solo negato il nostro personale assenso ad essa, mentre Dio non lo ha fatto. La mano di Dio rimane sempre protesa verso di noi, anzi proprio in tali circostanze essa si allunga e si avvicina maggiormente a noi per rendersi disponibile, presente e sollecita più che mai. Dunque la fede è dono che ci viene trasmesso da Dio illimitatamente, continuamente e senza interruzione alcuna, nostro unico compito e merito è accoglierlo. Avere fede significa innanzitutto affidarsi. Tutte le verità che crediamo, anche quelle scientifiche, sociali e umanistiche, le crediamo per atto di fede, perché cioè ci affidiamo alle conoscenze trasmesseci dalla società e acquisite dall’uomo nel corso di tutta la sua storia. Ciò significa che per crederle non le sottoponiamo  tutte a verifica, la nostra vita non potrebbe mai bastare per effettuare tale discernimento. Noi dunque ci approcciamo ad esse con un atto di affidamento e su di esse continuiamo il cammino di crescita e di progresso. Anche il nostro credo religioso compiere tale passaggio. L’affidamento è la via principale per la crescita nella fede e nell’amore. Affidarsi significa in tal  caso interrompere tutti gli altri cordoni ombelicali che ci rendono dipendenti da altre realtà, diverse da quelle proprie di Dio, e puntare solo ed esclusivamente sul cordone ombelicale divino. Affidarsi significa dare credito al 100% solo ed esclusivamente alla relazione d’amore con Dio e a tutte le Parole che sostengono e realizzano tale relazione. Per affidarsi con grande risultato occorre, dunque, gettare le basi della propria esistenza solo ed esclusivamente sulla Parola di Dio, credendola ciecamente, per farla diventare l’unica parola guida della nostra vita.  Anche questo passo è in realtà spronato e favorito da Dio, come ulteriore dono del cammino che ci indirizza a Lui. Ma l’affidamento non può esaurirsi nella sterile consegna della propria vita nelle mani del Signore e nell’inutile attesa che Dio faccia di noi secondo i suoi desideri, accettando, in conseguenza di ciò, il destino, da noi abbandonato, come volontà di Dio. L’affidamento a Dio comporta, invece, la partecipazione totale e piena alla vita divina, alla vita dell’amore, alla vita vera. Dalla fede, sempre per dono, si comincia a conoscere Dio, che si manifesta attraverso la sua Parola, attraverso il creato, attraverso l’amore, Attraverso Cristo e la Chiesa, né consegue che da tale conoscenza l’uomo deve cominciare a imitare il Signore. La partecipazione dell’uomo alla propria crescita spirituale, alla propria vita di fede consiste proprio nel tentativo di seguire Dio, di calpestarne le orme, di imitarlo in tutto. L’affidarsi trova infatti il suo vero significato nel importante passo della partecipazione, ossia nella corsa verso l’imitazione di Dio. Dio deve diventare il nostro modello di vita, il nostro modello perfetto di amore, il nostro desiderio unico di corrispondergli attraverso la nostra personale diretta partecipazione alla sua chiamata di fede. Il bambino nella placenta si affida alla madre attraverso il cordone e sempre attraverso il cordone le risponde all’amore ricevuto con un attaccamento sempre più forte. Partecipare alla vita Dio significa allora attaccarsi morbosamente a Dio, renderlo unico protagonista della nostra fede e della nostra vita. Questo ulteriore passo può avvenire solo se il nostro cuore lo desidera e il nostro cuore lo può desiderare solo se esso si apre a Dio. E’ Dio che immette in noi il dono del desiderio della fede, dell’amore per il Paradiso, della vita con Lui. Mentre noi ci affidiamo a Dio, rivolgiamo solo a Lui tutte le nostre attenzioni, gli permettiamo di diventare l’unico fondamento della nostra vita e al contempo partecipiamo alla realizzazione dell’amore in noi, con una risposta sempre più grande, questo amore fomenta dentro il nostro cuore il desiderio di Dio. La crescita del feto avviene sempre per mezzo del cordone ombelicale ed è favorita dal desiderio del bambino stesso di succhiare da tale canale l’alimento materno. La fame del bambino accresce il bambino in quanto lo sprona a chiedere sempre di più alla madre e a ottenere da essa un nutrimento sempre più sostanzioso e più abbondante. Questa fame è il desiderio che è alla base della nostra crescita spirituale e di fede. E’ grazie a tale desiderio che la fede non diventa opera morta, non è un dono relegato nel dimenticatoio, ma un dono che si ama, che si gusta,  che si utilizza, che si vive senza sosta, perché ci permetta di crescere e di avvicinarci sempre di più al Signore. A questo punto diventa inevitabile non cominciare a produrre frutti. La mano di Dio trova in noi il terreno fertile per portare a produzione raccolti sempre più abbondanti e sempre più preziosi. La crescita diventa un cammino quotidiano, costante e interminabile di rinunzia a se stessi per fare spazio a Dio. Il dono dell’amore può trovare accoglienza in noi se esso trova un cuore libero, un cuore che non ha altri amori che lo vincolano e lo imprigionano. Tale crescita comporta dunque la rinunzia a se stessi e a tutto ciò che ci allontana da Dio. E’ in tale scelta che il desiderio di Dio trova in noi spazio e terreno di crescita e di produzione. La vita intera viene coinvolta e subisce un radicale cambiamento, in quanto essa viene guidata direttamente da Dio e indirizzata unicamente sulle sue vie. Il cordone ombelicale diventa allora non solo il mezzo attraverso il quale stabilire il contatto, ma il modo unico di vivere la vita, l’anello di congiunzione che ci permette di seguire la locomotiva divina. L’anello che tira ed è tirato, l’anello che riceve e trasmette la forza trainante della motrice. In questo treno che viaggia nello spazio dell’eternità, attraversando tutto il globo terrestre, l’umanità intera trova il binario su cui camminare, la meta da raggiungere, l’assoluto a cui fare riferimento. Questo bellissimo cammino di fede ci è stato partecipato da Padre Pietro, che con parole semplici ed efficaci è riuscito a consegnarci un dono inestimabile e preziosissimo, il valore della fede. A tale dono si è aggiunto l’ulteriore tesoro della testimonianza di vita del  Parroco di Moiano, Padre Domenico Cassandro, una vita breve, vissuta nell’eternità dell’amore. Testimonianza di una fede che dà significato non al tempo dell’esistenza  ma alla sua relazione d’amore con Dio. E’ in tale relazione che il tempo perde il suo significato e giunge al limite infinito dell’eternità, ove il rapporto con Dio è solo ed esclusivamente gioia pura ed incontenibile, che nulla e nessuno può ostacolare. Un messaggio intriso di amore e di pace, che ci ha aiutato a cercare il significato della vita non nella sua estensione temporale ma nella sua capacità di metterci in relazione con Dio. Anche un solo istante di vita, purché vissuto con Dio, diventa eternità perché sorretto dalla forza invincibile dell’amore. I due passi compiuti durante l’incontro nell’auditorium ci hanno così  preparato al successivo incontro con Dio, attraverso l’ascolto della Parola, l’Eucarestia e la comunione con i fratelli, realizzati con la celebrazione Eucaristica tenutasi nella Cappella del Seminario e presieduta dal Rettore del Seminario.

Il nostro grazie infinito va a Dio per averci nutrito e accresciuto nello spirito, nella fede, nell’amore e nella vita attraverso l’incontro con l’edificante realtà formativa del Seminario, realtà aperta non solo alla crescita dei futuri presbiteri, ma anche alla crescita di tutti i fedeli.

Capo d’Orlando 04/03/2013

Dario Sirna

 

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