A TE, SIGNORE, ELEVO L’ANIMA MIA.

SALMO 24 (1-11)

Buongiorno a tutti,

oggi ci lasciamo guidare dai primi 11 versi del Salmo 24, di seguito riportati:

A te, Signore, elevo l’anima mia, †
Dio mio, in te confido:
non sia confuso! *
Non trionfino su di me i miei nemici!

Chiunque spera in te non resti deluso, *
sia confuso chi tradisce per un nulla.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie, *
insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua verità e istruiscimi, †
perché sei tu il Dio della mia salvezza, *
in te ho sempre sperato.

Ricordati, Signore, del tuo amore, *
della tua fedeltà che è da sempre.

Non ricordare i peccati della mia giovinezza: †
ricordati di me nella tua misericordia, *
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore, *
la via giusta addita ai peccatori;
guida gli umili secondo giustizia, *
insegna ai poveri le sue vie.

Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia *
per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
Per il tuo nome, Signore, perdona il mio peccato *
anche se grande.

Questo bellissimo Salmo è di grande insegnamento e conforto per chi cerca di fare cammino nella vita, per chi sente nel cuore l’impellente necessità di raddrizzare le sue vie, di abbandonare la strada percorsa finora, per immettersi nella grande autostrada di Dio. Un’autostrada, questa, che non ha due carreggiate per i due sensi di marcia, ma una sola carreggiata per un’unica direzione, quella che conduce a Dio. Nel Vangelo, Gesù stesso si definisce Via, Verità e Vita, inducendoci a pensare, quindi, che la via, la verità e la salvezza di cui parla il Salmista in questi versi si trovino proprio in Gesù Cristo. Il Salmista, infatti,  con forza implora  a Dio le sue Vie, i suoi Sentieri, per essere guidato nella Verità, e ottenere così la Salvezza, ossia la vita eterna.     Partendo dalla misera esperienza del peccato, della sopraffazione, della confusione, della delusione, della sconfitta, del tradimento e dello smarrimento spirituale, l’uomo, dopo avere toccato nella sua vita il fondo, sente la necessità di elevare a Dio la sua anima. La tristissima esperienza della rottura di ogni legame con Dio è talmente amara che, dopo averne fatto dura prova, l’uomo vuole completamente cancellarla dalla sua vita e lo fa iniziando a confidare in Dio, a supplicarlo, a chiamarlo non più Dio, ma “mio Dio”. L’introduzione dell’aggettivo possessivo è fondamentale, diventa per l’uomo un appiglio di certezza, un’ancora di sicurezza, che esprime in sé contemporaneamente sia la forte necessità di risollevarsi dalla perdizione, sia la voglia, il desiderio di stare con Dio, di possederLo, di sentirLo  proprio, di tornare a Lui per appartenergli. Questo aggettivo rafforza enormemente l’effetto della supplica rivolta a Dio, ne amplifica la voce, nella speranza, anche, di ottenere una più celere e certa risposta.  Il peccato confonde l’uomo, lo disorienta, lo porta su vie sbagliate, facendogli perdere la luce della vita. Occorre allora riconoscere che è necessario ritornare sempre a Dio, perché sia Lui a farci da guida nelle sue vie, ad istruirci in esse. Volere camminare da soli, lontani dall’insegnamento di Dio, su sentieri nostri, è una sfida persa. Avere questa consapevolezza e capire che solo in Dio è possibile confidare per la salvezza, sollecita il nostro spirito di sopravvivenza, innato in noi,  ad implorare a Dio la misericordia e la bontà. L’uomo ravvedutosi, improvvisamente si fa furbo, chiede a Dio di ricordarsi del suo antico amore per l’uomo e contemporaneamente di dimenticare i suoi eterni errori. Ma questa è una furbizia santa, che conduce a Dio e che sapientemente l’uomo divulga non solo per rendere elogio a Dio, ma anche per dare la propria testimonianza di salvezza al prossimo.

Capo d’Orlando, 22/02/2015

Dario Sirna


Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Time limit is exhausted. Please reload the CAPTCHA.