MATTEO 7, 7-12
Buongiorno a tutti,
il nostro cammino di conversione oggi è guidato dai seguenti versi del Vangelo di Matteo:
“7Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 8Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 9Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? 10E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? 11Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!
12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.”
In tempo di quaresima, tempo di conversione e di penitenza, il Vangelo di oggi ci insegna ad avere fiducia in Dio e nella preghiera a Lui rivolta, e, nel contempo, a cambiare il nostro comportamento e il nostro modo di essere nei rapporti con gli altri prendendo spunto proprio dalla generosità, dalla carità e dall’amore del Signore. Convertirsi significa convertire la propria fede, passare cioè da una fede di apparenza a una fede di sostanza. La conversione nella dimensione spirituale della fede è una conversione che riguarda innanzitutto i contenuti della nostra fede. Spesso dichiariamo la nostra fede con le parole e la smentiamo poi con i fatti, con le opere, con i sentimenti, con il pensiero. Ciò accade quando la nostra fede in Dio è meno profonda e meno radicata della nostra fede in noi stessi, nel nostro io, nelle nostre aspirazioni, nei nostri desideri e nella nostra convenienza spicciola. In tal caso la fede non è il pilastro portante della nostra vita, ma è una semplice suppellettile del nostro mondo, utilizzata solo per abbellire la nostra vita e per trarre da essa un tornaconto vantaggioso. Chi ha un tale rapporto con la fede sfrutta la sua finta relazione con Dio per offrire agli altri un’immagine di se stesso da cui poter trarre dei vantaggi. L’immagine di Dio è infatti immagine di sicurezza, di onestà, di generosità, di carità, di integrità. Rivestirsi dell’abito della fede equivale a condividere questa immagine e a trasferirla su se stessi. Ma la fede non è un’immagine, un vestito, qualcosa che si usa per apparire, essa è soprattutto contenuto. Il contenuto della fede è la nostra relazione con Dio, la fiducia che noi riponiamo in Lui, il nostro affidarci al suo amore, il nostro credere nelle sue parole, nelle sue promesse, nei suoi insegnamenti. Avere fede significa essere amici di Dio, condividere in tutto il suo pensiero, la sua vita, i suoi sentimenti, le sue intenzioni, le sue parole, le sue opere. Avere fede quindi non significa aderire ad un’ideologia e a un modello di vita, ma significa vivere questo modello di vita come unico modello in cui si crede e al quale si aderisce. Nella logica della fede descrittaci dal Vangelo di oggi la preghiera è un elemento fondamentale della relazione che lega l’uomo a Dio, in quanto essa è strumento che realizza tale relazione. Questo elemento, infatti, serve a esternare ciò che il nostro cuore vuole comunicare, esso serve cioè a portare la nostra persona davanti a Dio per eliminare quella distanza con cui noi stessi ci isoliamo dal Signore. Questo desiderio di fare unità con Dio, di stare insieme a Lui, di voler godere della sua persona, di voler gioire del suo amore, di voler consegnare il nostro cuore, di volere esprimere i nostri sentimenti, di volere trascorrere il nostro tempo con Lui, di voler dimorare in Dio, di volere diventare con Lui una sola cosa, è l’unica motivazione della vera fede. Si capisce allora che tra la persona di fede e Dio non c’è distanza, ma c’è intimità e appartenenza. Essere intimi e appartenersi significa mettere in comunione tutto, dai bisogni alle gioie, dai dolori alle soddisfazioni, dalla povertà alla ricchezza, il tutto senza limiti, gratuitamente, senza fare più distinzione tra ciò che è nostro e ciò che è di Dio. In tal modo con la stessa gratuità e generosità con cui Dio viene incontro a tutte le nostre richieste noi siamo chiamati a relazionarci con Dio. Nella fede tutto ciò di cui il nostro bene ha bisogno, Dio ce lo concede con gioia grande, con amore, con piacere, con il gusto di donarlo a noi per farci felici. Ma analogamente, per lo stesso sentimento che ci unisce a Dio e ci rende una sola cosa con Lui, noi siamo chiamati a offrire con amore, con gioia e con gusto tutto quello che Dio a noi chiede. Non ci scandalizzi il concetto che Dio, l’onnipotente, possa abbassarsi a chiedere a noi qualcosa. Dio ci chiede l’amore, a volte lo mendica attendendo con impazienza la nostra misera elemosina. Ciò accade perché Dio è solo amore, perché in Lui cioè esiste solo questa dimensione relazionale. Ma, come la nostra relazione con Dio non si limita solo alla comunione del nostro io con la sua persona, ma coinvolge tutta la sfera del nostro essere, quindi tutte le persone e le cose che hanno importanza nel nostro cuore, allo stesso modo la relazione di Dio con noi è allargata all’universo intero. Ciò significa che come noi nel legarci Dio leghiamo a Lui anche i nostri affetti più cari, parenti e amici, allo stesso modo Dio nel relazionarsi con noi lega alla nostra vita tutte le persone che fanno parte della sua vita. La comunione non è infatti qualcosa di selettivo o di parziale, ma è qualcosa di pieno e totale. L’amore di Dio, per effetto di tale comunione si riversa su tutto ciò che amiamo e su tutte le persone che sono a noi care, allo stesso modo il nostro amore deve riversarsi su tutto ciò che Dio ama e su tutte le persone che per Lui contano. Considerato che nel cuore di Dio rientra il cosmo intero, quindi anche l’intera umanità, ciò significa che anche noi, come Dio e con Dio, siamo chiamati ad amare l’intera umanità. A questo punto diventa naturale comportarsi nei confronti dei nostri fratelli allo stesso modo in cui Dio si comporta nei nostri confronti, ossia è naturale amare in Dio anche tutti i nostri fratelli e realizzare tale amore, facendo loro tutto il bene che vorremmo essi facessero a noi. Come Dio ci esaudisce in tutti i nostri bisogni, analogamente noi siamo chiamati a esaudire i nostri fratelli nei loro bisogni. Il comandamento dell’amore non consiste allora nel non fare agli altri il male che non vorresti essi facessero a te, ma nel fare a loro tutto il bene che tu da essi vorresti ricevere. In Dio, dall’omissione della vendetta e del male si passa alla realizzazione del bene e dell’amore.
Capo d’Orlando 26/02/2015
Dario Sirna.