SVEGLIATI, PERCHE’ DORMI, SIGNORE?

SALMO 43

Buongiorno a tutti,

il cammino di oggi sfrutta il percorso tracciato dal Salmo 43, di seguito riportato:
Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito, †
i nostri padri ci hanno raccontato *
l’opera che hai compiuto ai loro giorni, *
nei tempi antichi.

Tu per piantarli, con la tua mano
hai sradicato le genti, *
per far loro posto, hai distrutto i popoli.

Poiché non con la spada conquistarono la terra, *
né fu il loro braccio a salvarli;

ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto, *
perché tu li amavi.

Sei tu il mio re, Dio mio, *
che decidi vittorie per Giacobbe.
Per te abbiamo respinto i nostri avversari *
nel tuo nome abbiamo annientato
i nostri aggressori.

Infatti nel mio arco non ho confidato *
e non la mia spada mi ha salvato,
ma tu ci hai salvati dai nostri avversari, *
hai confuso i nostri nemici.

In Dio ci gloriamo ogni giorno, *
celebrando senza fine il tuo nome.

Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna, *
e più non esci con le nostre schiere.

Ci hai fatti fuggire di fronte agli avversari *
e i nostri nemici ci hanno spogliati.
Ci hai consegnati come pecore da macello, *
ci hai dispersi in mezzo alle nazioni.

Hai venduto il tuo popolo per niente, *
sul loro prezzo non hai guadagnato.
Ci hai resi ludibrio dei nostri vicini, *
scherno e obbrobrio a chi ci sta intorno.

Ci hai resi la favola dei popoli, *
su di noi le nazioni scuotono il capo.
L’infamia mi sta sempre davanti *
e la vergogna copre il mio volto

per la voce di chi insulta e bestemmia, *
davanti al nemico che brama vendetta.

Tutto questo ci è accaduto †
e non ti avevamo dimenticato, *
non avevamo tradito la tua alleanza.

Non si era volto indietro il nostro cuore, *
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli *
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.

Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio *
e teso le mani verso un dio straniero,
forse che Dio non lo avrebbe scoperto, *
lui che conosce i segreti del cuore?

Per te ogni giorno siamo messi a morte, *
stimati come pecore da macello.

Svègliati, perché dormi, Signore? *
Dèstati, non ci respingere per sempre.
Perché nascondi il tuo volto, *
dimentichi la nostra miseria e oppressione?

Poiché siamo prostrati nella polvere, *
il nostro corpo è steso a terra.
Sorgi, vieni in nostro aiuto; *
salvaci per la tua misericordia.

Questo bellissimo Salmo è una supplica rivolta a Dio in forma collettiva, a nome cioè di una comunità intera, ossia del popolo di Isdraele, popolo scelto di Dio, ma ogni fedele può trovare nelle parole del Salmo un senso più individuale e strettamente personale. Il Salmista, che parla appunto a nome della nazione, si rivolge a Dio per supplicarne l’intervento in un momento di vita politica, sociale, religiosa ed economica molto difficile. Viene posto un grande problema, un interrogativo che percorre sempre il cuore dell’uomo sia per le sue vicende personali che per le vicende collettive e globali, interrogativo dovuto alla apparente disinteresse e indifferenza di Dio di fronte alle avversità che colpiscono il giusto, l’uomo retto, l’uomo fedele, e, nel caso del Salmo, la nazione santa. Isdraele ha avuto grandi prove in passato dell’amore di Dio, prove di prodigi divini che hanno costruito la storia di Isdraele, conferendogli un’identità di popolo e di nazione. Tutte le vicende storiche del passato che tornano alla mente del Salmista come prova evidente dell’amore di predilezione di Dio per questo popolo ora, però, stridono fortemente con una realtà di delusioni e prostrazioni  che hanno il chiaro e triste sapore dell’abbandono da parte di Dio. Il Salmista interroga se stesso e Dio, e basando la sua valutazione sulla legge della retribuzione non comprende il perché di tale disinteresse del Signore nei confronti del suo popolo, che da parte sua né col pensiero, né nel cuore, né con parole, azioni e comportamenti ha mai tradito l’alleanza stretta con Dio. Isdraele si chiede in fondo quello che si chiede ogni uomo del mondo e quello che ognuno di noi domanda a Dio. Il dolore, la sofferenza, le difficoltà, i dispiaceri diventano spesso un mistero illogico di fronte alla rettitudine dell’individuo. Un mistero che ci induce a pensare che occorre continuamente richiamare Dio al suo dovere di salvatore. Il silenzio di Dio suona ai nostri orecchi con il rumore fastidioso del disinteresse e dell’abbandono.  Ma a tal proposito possono essere sollevate diverse eccezioni tra cui la prima è che nessuno di fronte a Dio è veramente retto, giusto e perfetto da considerarsi per la sua innocenza immeritevole di punizioni. La seconda è che il male, il dolore, la sofferenza, il dispiacere, etc., non sono certo inviati da Dio nella vita dell’uomo. E’ sempre per colpa nostra che il male trova spazio e produce i suoi effetti nella nostra vita e nella nostra comunità. Dio non è responsabile nè direttamente né indirettamente del dolore e delle difficoltà che spesso massacrano la nostra esistenza. Egli, anzi, in tal senso  ci offre la via per superarle attraverso se stesso, attraverso Cristo. La terza è che il dolore e la sofferenza appartengono al corso naturale della nostra vita  e non vanno perciò considerate come flagelli divini, punizioni inflitte agli uomini per le loro malvagità. L’uomo per dono di Dio ha, invece, nelle sue mani il potere di gestire il dolore proprio e degli altri, adoperandosi perché esso possa essere alleviato, o  al contrario, perché possa essere amplificato. Dio interviene nella vita di ogni uomo costruendogli attraverso Cristo un destino di salvezza. Egli, dunque, è indubbiamente interessato alla nostra esistenza e al nostro benessere. Proprio per questo motivo si adopera senza sosta perché l’uomo possa superare tutte le difficoltà della vita affrontandole con l’arma invincibile dell’amore. E’ questo l’unico vero miracolo che Dio compie per ogni uomo, è questo l’unico prodigio che Dio compie nella nostra vita, prodigio che Egli  dà potere di compiere anche a noi. Dio non cessa mai di esercitare l’amore per l’uomo e prova ne sono la storia della nostra fede, Cristo, la Chiesa, i Martiri e i Santi. Egli fa molto di più di quanto noi stessi possiamo pensare in quanto trasferisce il potere indiscutibile dell’amore nella nostra vita e ci consente tramite esso di vincere tutte le difficoltà del vivere quotidiano. Possiamo pensare di essere giusti, come lo pensava il Salmista del suo popolo, e non comprendere il senso della nostra sofferenza, attribuendo a Dio la causa del nostro abbandono, ma non possiamo amare e non vincere con l’amore, e quindi con Dio, il dolore, il male e tutto ciò che si oppone al nostro bene. Spesso l’uomo si ritiene giusto, e lo è realmente,  perché non commette direttamente con le sue mani il male, né condivide il comportamento di chi lo esercita.  Ma tale giustizia è frutto dell’amore? Di fronte al dolore, alla sofferenza e all’ingiustizia l’unico rimedio è l’amore. Non sempre amore e rettitudine coincidono, non sempre essere perfetti e amare hanno lo stesso significato. Vero è invece il contrario ossia che chi ama sinceramente è sicuramente retto, perfetto e giusto.  La via indicata da Dio nella Legge e nella sua Parole non è la via della rettitudine, ma la via dell’amore, è da tale via che poi scaturisce la rettitudine. Per comprendere fino in fondo Dio, la sua parola e il suo comportamento bisogna necessariamente parlare il linguaggio dell’amore, e non quello della rettitudine e della giustizia, altrimenti veramente Dio, pur prodigandosi continuamente per il nostro bene, pur affrontando personalmente la croce per la nostra salvezza,  rimane per noi uno che dorme e sta in silenzio, uno che guarda con disinteresse e distacco la vita dell’uomo, uno che ha a cuore solo se stesso.

Capo d’Orlando, 09/12/2012

Dario Sirna

 

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